30 novembre 2018

De honesta voluptate et valetudine, o l’elogio delle cose semplici: il Vermentino nel Mediterraneo

De honesta voluptate et valetudine, o l’elogio delle cose semplici: il Vermentino nel Mediterraneo

Mi ricordo un’estate di qualche anno fa, un paesino in bilico fra mare e montagne, un piccolo ristorante aggrappato all’ultima delle numerose curve in salita necessarie per raggiungere la mèta. Tanta pietra, un palazzotto signorile di epoca bassomedievale, e qualche casa a contorno, quasi per sbaglio.

Castelnuovo Magra, luogo mitico e mitizzato dallo scrittore Maurizio Maggiani che da quella terra, non più toscana, non del tutto ligure, proviene.

Si diceva, il ristorantino: cinque tavoli dentro, altrettanti fuori, e su ognuno, appena seduti, prima di tutto, anche del buongiorno, una brocchetta e dei bicchieri appaiati a caso. “Il Vermentino”, ed era insieme saluto, dono e benvenuto all’ospite, in quel modo asciutto di stare al mondo tipico della gente del posto.

Offerta senza possibilità di negoziato che nemmeno due astemi come i miei genitori osavano rifiutare, rimandando indietro: quel vino che scintillava sotto il sole agostano era dunque tutto per me, che lo assaporavo piano piano per farlo durare il più possibile. Ogni sorso di quel vinello semplice e immediato aveva il sapore dell’età adulta e dell’emancipazione.

Oggi so che quel mio primo Vermentino probabilmente non era così buono come il filtro edulcorato della memoria me lo rimanda, ma poco importa: era l’estate del 1990, caldo, pallone e notti magiche, era il tempo dei miei dodici anni e quello fu uno dei primi incontri ufficiali col vino, mia personale madeleine la cui potenza evocativa non si esaurisce, nonostante gli anni passati, e i bicchieri di vino, molti e migliori, bevuti da quei giorni ad oggi.

Chiuso l’amarcord, funzionale a spiegare perché quando è stata annunciata la serata dedicata al Vermentino, condotta da Bianca Ciatti, non ho esitato un attimo di troppo e mi sono iscritta.

Sarà una degustazione onnicomprensiva di tutte le declinazioni di questo vitigno, che trova la sua zona d’elezione nel bacino del Mediterraneo, dimostrando grande adattabilità a suoli e climi diversi abbinata alla caratteristica di riuscire a sviluppare un grande ventaglio di varietà aromatiche, diverse al variare delle condizioni d’allevamento.

Diffuso fra Francia e Italia, ha le sue vette d’eccellenza salde su due isole, Sardegna e Corsica, dove su 9 AOC, ben 8 lo contemplano come protagonista.

Fino a non molto tempo fa bistrattata come uva di serie B, da vini mediocri, oggi la sua reputazione si nutre di nuova linfa, grazie ad una rinnovata filosofia produttiva: alle alte rese che il vitigno, resistente e prolifico, consente di ottenere, si preferisce un approccio, in vigna e in cantina, improntato alla ricerca qualitativa, più che al far numero.

Versatile, fruttuosa, prospera su terreni dislocati lungo le coste, matura tardivamente e, se questo non bastasse a far rivalutare le potenzialità di quest’uva, si valuti anche la resistenza agli attacchi della muffa grigia: ne consegue l’attitudine a diventare materia per ottimi muffati (e durante la degustazione ne avremo prova tangibile).

Di contro ha la scarsa tendenza a dare vini da invecchiamento, anche se Bianca sfiderà anche queste incrollabili certezze.

Indietro nel tempo…

Le origini del vitigno conservano una quota di mistero: per molti anni si è creduto provenisse dalla Spagna, forse importato dagli arabi durante le conquiste di epoca medievale. Da lì, passando per il Languedoc-Roussillon, sarebbe poi arrivato in Italia. Teoria recentemente messa in discussione, a favore di un’altra che ne colloca l’origine in Anatolia: sarebbe poi arrivato in Ungheria a seguito delle guerre ottomano-ungheresi.

Storie di guerra e d’amore: altra tesi contempla la diffusione del Vermentino in Ungheria a seguito del matrimonio nel XVII secolo fra un’ asburgo e il regnante d’Ungheria: mai dote fu più gradita.

A rinforzare queste ultime ipotesi studi recenti che hanno messo in luce una correlazione genetica fra Furmint, uva base del preziosissimo Tokaji, e Vermentino.

Quali esattamente siano le strade tortuose che il nostro vitigno ha dovuto percorrere per diffondersi in modo capillare e arrivare fino a noi, non è dato saperlo fino in fondo: ma se il suo passato in qualche modo ci sfugge, il presente è ben delineato nei 7 bicchieri che abbiamo davanti, pronti alla degustazione.

La verità del bicchiere

Condotto in modo impeccabile da Bianca, l’assaggio ci mostrerà di volta in volta in modo tangibile le reali differenze di terroir fra Vermentini di zone diverse e l’incredibile versatilità aromatica di quest’uva. Quasi tutti i vini della serata sono elaborati da Vermentino in purezza: unica eccezione , e non solo in questo, il vino misterioso.

Si parte dalla riviera ligure di ponente, Bastia d’Albenga per l’esattezza, rappresentata da BioVio, azienda vinicola di Giobatta Vio, che nei 7 ha vitati di proprietà applica in modo rigoroso pratiche agricole tradizionali, rinunciando all’uso della chimica e di pratiche eccessivamente interventiste in campo e in cantina.

Il suo Vermentino "Aimone" 2017, dall’elaborazione didascalica (criomacerazione per 24 ore, pressatura soffice, fermentazione a temperatura controllata in vasche d’acciaio, dove matura per 4 mesi per completare l’affinamento dopo due mesi di bottiglia) al naso spinge subito sulla nota vegetale, seguita da una spiccata mineralità: salvia, fiori bianchi, agrumi e mela golden. Conferma la sua natura in bocca: sapido, minerale astringente ma di buon corpo e avvolgenza. Mediamente lungo in bocca, dove il finale è dominato dall’amaricante.

Conferma quello che ci apettavamo da un Vermentino della riviera di ponente, dove i suoli calcareo-argillosi danno vini più potenti ed erbacei rispetto a quelli elaborati a levante, freschi ed eleganti, dai delicati sentori di frutta a polpa gialla.

Non poteva non essere dunque testata anche l’altra metà della riviera ligure,

dove il Vermentino anticamente prendeva il nome solo qui usato di Piccabon.

Il Colli di Luni Vermentino "Augusto" 2017 viene elaborato da La Pietra del Focolare, realtà vinicola di Ortonovo: 7 ha di vigne di proprietà suddivise in piccoli appezzamenti strappati a territori spesso impervi. Lavoro in vigna artigianale dettato sia dalla filosofia produttiva che dalla geografia dei luoghi, in cantina si vinifica in bianco a temperatura controllata, senza macerazione. Affinamento di due mesi in bottiglia per questo vino di un bel giallo paglierino luminoso, che conferma le nostre attese sul suo carattere precipuo: totalmente diverso dal precedente, evidenzia subito al naso note più dolci di pesca e una punta di miele biondo. Successivamente si presentano profumi di macchia mediterranea, ginestra, finocchietto. Presente anche la quota tropicale, con tenui rimandi a mango e ananas, maggiormente presenti al palato, dove si percepisce una mineralità e un finale amaricante molto più timidi dell’omonimo di ponente. Buona alcolicità e corpo.

Dall’Italia alla Corsica, le aspettative sono molto alte per il Patrimonio Blanc 2016 del Domaine Yves Leccia, la cui azienda vinicola avevamo già conosciuto, cum summo gaudio, durante la degustazione dedicata ai vini rosati, dove il vino misterioso era il suo sorprendente rosato a base Nielluccio.

Come già anticipato, grande importanza ha qui il vitigno, conosciuto con ben quattro nomi: Vermentino al sud, Malvasia grossa al nord, Carbesso in Balagne, e l’antico nome, ormai desueto di Brustiano bianco.

Sulla carta i Vermentini còrsi si presentano sapidi, minerali, piuttosto alcolici a discapito della freschezza, con un buon potenziale d’invecchiamento.

Nel bicchiere nuova conferma: i terreni argilloso-calcarei con presenza di scisti del domaine regalano vini la cui cifra è l’eleganza.

Elaborazione del vino che prevede la pressatura dell’intera vendemmia, cui segue la decantazione a freddo per 24 ore, fermentazione e maturazione in acciaio per 6 mesi. Ben percepibile di primo impatto la nota empireumatica, che lega i sentori minerali all’ idrocarburo. Presenti anche sentori vegetali, fiori di tiglio, e fruttati, dati da agrumi e susina gialla. Nota finale gessosa. Complesso in bocca, di buona avvolgenza, elegante, finale ben protratto in cui dominano le note minerali.

Scavalcando a piè pari qualche lunghezza di mare, arriviamo in terra toscana, dove a Bolgheri sono riservati a quest’uva pochi vigneti sul mare: qui si producono vini pieni e grassi dai riflessi dorati, che peccano d’ acidità a favore di una certa opulenza di corpo e buona alcolicità.

Il Bolgheri Vermentino 2017 dell’Azienda Agricola Eucaliptus, proveniente da vigneti posti a Rosignano Marittimo, dopo un’elaborazione di base simile ai vini fin qui degustati, compie un affinamento di quattro mesi sur lies a temperatura controllata in vasche d’acciaio.

Inizialmente un po’ chiuso, si apre poi su note balsamiche mentolate. Presente la polpa matura di frutta estiva gialla, con flebili richiami al tropicale.

Ben bilanciato in bocca, dove la freschezza e la sapidità spiccate dialogano bene con l’opulenza di corpo e la ricchezza d’ estratto.

Decisamente caldo e di buona persistenza finale, paga il fio alla zona da cui proviene di non brillare per finezza aromatica.

Altro tratto di mare, fino all’isola che ha saputo maggiormente nobilitare questo vitigno, a cui è riservata l’unica DOCG (Vermentino di Gallura DOCG), oltre alla più generica DOC, presente in tutta la regione ove vi siano zone di produzione. I suoli d’ origine vulcanica, poi sfaldati in terreni sabbiosi e magri, dove non è raro trovare viti a piede franco, garantiscono ai vini struttura e mineralità. Importante l’effetto del vento che mantiene le uve sane, scongiurando il pericolo dello sviluppo di muffe.

Il quinto vino in degustazione è di Capichera, vero punto di riferimento della vitivinicoltura sarda, fondato nel 1980 come piccola azienda e cresciuta esponenzialmente di fama e di ettari vitati negli anni, fino ad arrivare ai 40 ha odierni. Idee produttive chiare ad opera del vignaiolo Fabrizio Ragnedda: “Entriamo in vigna, vediamo la pianta e il terreno, perché il vino nasce lì, non in cantina; se invece il vino nasce in cantina risponde alla filosofia del consumatore, non a quella del vivere".

Il Vermentino di Gallura "Vigna 'Ngena" 2017 si apre in un ampio ventaglio aromatico intenso ed elegante: ben scanditi in successione i fiori bianchi della ginestra, il frutto pieno, anche esotico, la macchia mediterranea. Non si ferma qui, evolvendo i sentori fino ai fiori secchi e alle zeste candite d’arancia. Note dolci ben bilanciate dalla pronunciata mineralità che si inoltra fino all’ idrocarburo. Vino complesso, strutturato, avvolgente e pieno in bocca. Ottima la persistenza aromatica.

Il vino misterioso si attesta in sesta posizione, latore di sentori tipici dei macerati: miele, mela cotta, balsamicità e citrino spiccati, sbaraglia subito le nostre certezze perché simile, ma allo stesso tempo diverso, da quello che ci aspettavamo di trovare in un bicchiere di Vermentino.

Il Vermentino di Bolgheri “Un po’ più su del mare” 2017 di Mulini di Segalari contempla delle peculiarità rispetto ai vini che l’hanno preceduto: non uva in purezza, ma combinazione di Vermentino (85%) e Manzoni bianco (15%). Il primo fermenta in acciaio con lieviti autoctoni per una settimana prima di essere assemblato col Manzoni bianco, che macera separatamente per 5 giorni; segue la maturazione sulle fecce fini in giare di terracotta, dove si praticano bâtonnage reiterati ogni 15 giorni. Chiara dunque l’intenzione di spingere sull’estrazione.

D’altronde la piccola azienda vinicola, posta in quel di Castagneto Carducci e forte della certificazione biologica, fa delle vinificazioni alternative e delle sperimentazioni con la terracotta il proprio vessillo, elaborando vini con note distintive molto caratterizzanti.

Ne emerge in questo caso un vino dai sentori erbacei e di frutta, dove la macerazione dà un apporto fondamentale alla qualità degli aromi percepiti. In bocca è fresco e minerale, più sottile che opulento, elegante, secco, certamente diverso rispetto al conterraneo bolgherese poco prima testato.

La quadratura del cerchio nel viaggio alla scoperta del Vermentino è data dall’ultimo vino proposto stasera, un sorprendente muffato: l’ IGT Toscana Bianco "Nobilis" 2016 di Terre del Marchesato nasce da uve botritizzate raccolte in novembre nel territorio di Bolgheri. Dopo la fermentazione con lieviti indigeni, matura per un anno in  barrique di rovere francese nuove, a cui segue un lungo riposo in bottiglia.

Fra gli aromi si percepiscono quelli tipici di quest’uva: ottima mineralità unita a sentori di albicocca secca e frutta candita, anche tropicale, che dà una forte impronta distintiva rispetto ai muffati elaborati da altre uve.

In bocca emerge la delicata balsamicità delle erbette mediterranee, rosmarino ma tornano anche aromi dolci di agrumi canditi, miele e fichi secchi.

Ben equilibrato fra dolcezza, corpo e acidità, opulento ma non stucchevole, finale lungo che conserva la pienezza dei profumi: un piccolo Monbazillac nostrano di cui andare fieri.

Serata conclusa fra gli applausi, o quasi: la generosità di Bianca fa arrivare nei nostri bicchieri l’esempio tangibile di come anche i vini ottenuti da quest’uva possano “invecchiare” con dignità: a dar corpo a questa teoria un Vermentino Bibi Graetz 2011, che, pur penalizzato da un certo calo dell’ acidità, mantiene l’integrità aromatica delle note agrumate di mandarino e balsamiche (salvia e rosmarino in primis).

Un’altra bella serata, che ha aggiunto un tassello importante alle nostre conoscenze enoiche, volge al termine.

Mi batte in testa seguendo il ritmo dei passi del ritorno a casa qualcosa letto di recente che non metto subito a fuoco: lo ricorderò in seguito, non aggiunge nozioni tecniche alla conoscenza del Vermentino, ma mi pare esprima al meglio l’emozione suscitata da un vitigno così profondamente connesso al sentimento dei luoghi in cui si è insediato:

“Così vedevo quanta bellezza c’era nel filare di vigna del Vermentino posto al confine degli orti per addolcire l’orizzonte. Nell’arco morbido della potatura che mio nonno eseguiva dopo il tramonto con gli occhi lacrimosi di cataratta. E vedevo tutto il resto che era fatto per gratuita e necessaria bellezza. Perché ci fossero un ordine e una grazia nel lavoro, in quella vita senza giustizia”.

(Maurizio Maggiani, Mi sono perso a Genova. Una Guida. Ed. Feltrinelli, 2018)

Valentina Pizzino
Valentina Pizzino

Nata a Firenze da una famiglia di astemi, non ha mai dubitato che nelle sue vene scorresse Chianti Classico. Lavora fra i libri, ma gli scaffali che preferisce sono quelli delle enoteche. Il suo centro di gravità permanente è sempre ruotato attorno a una bottiglia.

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