5 giugno 2019

Champagne: le tecniche dell'assemblaggio

Champagne: le tecniche dell'assemblaggio

Champagne: masterclass in (semi) trasferta dedicata ad una delle molte sfaccettature del più brillante dei vini

Martin Rance, nostra guida di fiducia nell’universo delle bollicine - francesi e non - questa volta ci attira, come il Pifferaio Magico, nella sala conferenze dell’AC Marriott Hotel, giusto a qualche isolato dalla sede Fisar. Il suono del suo zufolo incantatore ha diffuso nel web il titolo della serata, il nome del relatore e l’elenco dei vini: Champagne: La tecnica dell’assemblaggio delle cuvée, a cura di Bernardo Conticelli. Difficile resistere: si tratta di fare un altro bel passo verso la conoscenza del mito, nello specifico di approfondire le scelte che pongono le fondamenta su cui poggerà l’effervescente costruzione alcolica finale. A condurci sarà appunto Bernardo Conticelli, giovane fiorentino di consolidate competenze in materia, ambasciatore italiano per lo Champagne nel 2015 e molto attivo nel settore, sia in Italia sia in Francia. L’appeal della proposta di stasera ha contagiato, in vario grado, la sensibilità di ognuno, vista l’atmosfera decisamente vibrante che si respira in sala.

«Il n’est champagne que de la Champagne»

Il motto dei produttori champenois, scolpito come sulla pietra nelle menti dei Transalpini, oltre che esser dogma legislativo a copertura globale, riluce di tutto l’orgoglio patrio per questa espressione d’eccellenza ed è nel contempo manifesto dell’indiscussa abilità francese nel creare un’aura di unicità inarrivabile intorno ai prodotti simbolo del territorio. 
È pur vero che la denominazione fa da cappello ad una varietà qualitativa tutt’altro che trascurabile e che il brand champagne è per molti, magari per i consumatori meno avvertiti, oggetto simbolico  prima ancora che particolarissimo vino da degustare, indipendentemente dalla qualità intrinseca della specifica bottiglia (come sostiene S. Cogliati nel suo Champagne Il sacrificio di un Terroir)
Questa sera però sappiamo che ci troveremo davanti dei vini il cui pregio non è in discussione. Certo, se si è molto in confidenza con cuvée, millesimi memorabili, produttori di nicchia e celebri maison si può sfoderare la disinvoltura che deriva dalla consuetudine; personalmente invece, e non penso di esser stata la sola, un deciso surplus di emozionata aspettativa l’ho avvertito eccome. È che lo champagne solletica non solo il palato, ma anche lo stato d’animo, predisponendo all’idea di festa e ad una sana e consapevole euforia.

Limiti e sfide

Questo a valle, cioè nel calice. A monte però, come ci ricorda il nostro relatore, tra i filari della Francia nord orientale, le cose si fanno più delicate. La posizione geografica, col suo clima freddo e soggetto a gelate imprevedibili, non depone bene per una viticoltura che si voglia esente da rischi, anche fatali. Eppure in Champagne la conoscenza di queste criticità, coniugata a quella delle peculiari caratteristiche dei vitigni e del suolo delle varie zone, ha portato a produrre vini che sono il vessillo di un savoir faire unico, capace di raccontare il substrato, la materia di cui sono composti terre, uve e uomini e al tempo stesso di rappresentare in modo inequivocabile concetti astratti come lusso, prestigio, nobiltà. In tema di conoscenza del proprio terroir e di abilità eccellenti sarebbe doveroso, oltre che intellettualmente onesto, aprire una lunghissima parentesi dedicata alle tante realtà eroiche (ma non solo), del nostro Paese; qui però è opportuno restare aderenti al contesto e tener conto dello scarto innegabile che i Francesi - e gli Champenois in particolare - hanno saputo imprimere al loro secolare percorso di viticoltori, assestandosi sulla vetta dei valori immateriali prima e meglio di chiunque altro. 
I limiti naturali prima accennati fanno sì che le vendemmie siano molto diverse tra loro, per qualità e quantità, diventa quindi un fattore determinante l’abilità dello chef de cave nell’elaborare il taglio che darà origine alla cuvée. È una scelta che si compie in cantina, partendo dall’assaggio dei vins clairs e il prisma delle possibili combinazioni ha sfaccettature pressoché infinite.

I vins clairs e la mano dell’uomo 

In considerazione dell’andamento dell’annata, delle zone di provenienza delle uve e delle caratteristiche dei singoli vitigni, si elabora un vero e proprio progetto, all’interno del quale le varianti possono partire dalla scelta delle percentuali dei vitigni principali, per arrivare ai processi di vinificazione e di affinamento, portando a combinazioni che cambiano a seconda del vino che si vuol ottenere. Il discorso vale in misura determinante per le grandi maison, che fanno della costanza e riconoscibilità del proprio stile il perno identitario e commerciale della produzione. Caso a parte quello dei millesimati, realizzati con il raccolto di un’unica, eccezionale annata, ma che rappresentano una percentuale minima della quantità totale di champagne prodotto ed è il Comité Interprofessionnel des vins de Champagne (CIVC) a determinare quali vendemmie meritino di diventare un millesimo.
Tornando al ventaglio delle opzioni possibili: si può intervenire in fase di fermentazione alcolica, scegliendo il materiale ritenuto più adatto allo scopo, spesso l’acciaio e il legno, raramente il cemento, ultimamente anche la terracotta o il grès; si può decidere di svolgere o meno la fermentazione malolattica, o di svolgerla parzialmente. Anche per l’affinamento può cambiare il tipo di contenitore: acciaio, legno, o si può ricorrere alla cuvée perpetuelle, una sorta di metodo solera solitamente in legno, da cui si preleva una parte di vin de réserve di annate precedenti e si rabbocca con vino dell’ultima vendemmia; l’apporto dei vini di riserva risulterà in un’effervescenza meno accentuata ma in una maggior struttura e complessità, dando vita a champagne gastronomici di grande profondità.
La scelta dei vitigni e delle relative percentuali varia naturalmente anche in considerazione della varietà dei suoli e delle esposizioni. 
Gli Chardonnay, sovrani della Côte des Blancs, dove si trovano i terreni più ricchi di gesso, sia in profondità che in superficie, hanno un’espressività trattenuta in gioventù, ma capitalizzata per durare anche nel lunghissimo periodo. Il clima di quest’area è ideale per il vitigno, che offre sfumature diverse nei vari grands crus: ad esempio a Choully più rotondità, ad Avize più freschezza. Il Pinot Noir della Montagne de Reims, sua zona d’elezione, ha corpo, struttura e acidità medio-alta. Il terreno qui è gessoso nel sottosuolo, con argille affioranti; i grands crus Ambonnay e Bouzy, esposti a sud, regalano maggiore morbidezza, quelli di Verzy e Verzenay, con esposizione nord, danno un Pinot nero più nervoso, che ha bisogno dello Chardonnay per smussare le asperità. Nella Côte de Bar non troviamo la craie, bensì marne argillo-calcaree, con prevalenza di calcare; è il suolo kimmeridgiano che da qui si estende fino allo Chablis. Essendo terreno misto, il Pinot Noir di questa zona perde un po' in freschezza, ma guadagna in profumo e immediatezza, da cui derivano champagne pronti prima. Nella Vallée de la Marne, regno del Pinot Meunier, il sottosuolo è marnoso, con argilla prevalente; il freddo aumenta, così come il rischio di fenomeni climatici avversi. Il ciclo vegetativo di questo vitigno, più breve degli altri, si adatta meglio degli altri a queste condizioni climatiche e i vini che ne derivano sono pronti subito, profumati e fruttati, connotati da una bassa acidità.

I sette champagne in degustazione

Cominciamo dalla Côte des Blancs con Vazart-Coquart & Fils Spécial Club* Blanc de Blancs  Grand Cru 2010 Brut: Chardonnay vinificato in acciaio, con malolattica svolta, ha riposato sur lattes per sei anni e presenta un dosaggio davvero basso, 1,5 gr/L. Il villaggio di Choully è un grand cru dove la mineralità gessosa lascia spazio, come constateremo, al fruttato fresco. Brillante nel calice, il colore è un paglierino dai riflessi di un dorato chiarissimo, con effervescenza decisa. Accanto a un delicato sentore di pane, le note agrumate, di lime, rimandano ad un’idea di gioventù, in contrasto con uno champagne che sfiora i dieci anni; in bocca poi si rivela più morbido che al naso, pur conservando una freschezza elegante che rimane a lungo, ricordando gli aromi agrumati.
*: Lo Spécial Club è un’associazione di 28 récoltants manipulants, che seguono criteri di eccellenza e designano con questa menzione aggiuntiva solo il meglio del meglio delle rispettive produzioni.

Egly-Ouriet "Les Crayères" Blanc de Noirs Grand Cru: La vinificazione di questo Pinot Noir della Montagne de Reims, da un’unica vecchia vigna, è stata fatta in barrique e anche in questo caso è stata svolta la malolattica; la sosta sulle fecce fini è durata 50 mesi ed il dosaggio è di 2 gr/L. La nuance è un bel dorato, che trova corrispondenza olfattiva nei frutti maturi a polpa gialla, accompagnati da note terrose, di fungo; una leggera ossidazione, sentori di frutta secca, di spezie dolci e legno sono le note evolutive che delineano un quadro complesso e profondo, che in bocca esprime acidità spiccata e sapidità, armonizzate dalla cremosità del perlage. 
È di un piccolo récoltant manipulant della Vallée de la Marne il Laherte Frères Les Vignes d’Autrefois 2014 Extra Brut: Pinot Meunier in purezza da vecchie parcelle nelle località di Chavot e Mancy, vinificazione in barrique senza malolattica, sui lieviti per quattro anni e dosato a 3 gr/L. La maggior presenza di gesso rispetto alla media di zona si avverte nel corrispettivo minerale al naso, seguito da profumi di fiori e frutti bianchi e mandorle tostate. Al palato l’ingresso è corposo e ampio, con perlage setoso e lungo finale croccante, di grande armonia.
Bérêche et Fils Reflet d’Antan Solera Brut: passiamo dal monovitigno all’assemblaggio dei tre classici: 35% Pinot Noir, 35% Meunier e 30% Chardonnay, provenienti i primi due da Montagne de Reims e Vallée de la Marne. I vins clairs sono stati vinificati in tonneaux con metodo solera e senza svolgere la malolattica, a seguire un’evoluzione sur lattes di circa quattro anni e dosaggio pari a 6 gr/L. Dorato di buona intensità, offre un’alternanza di agrumi delicati e note di frutti di bosco, a seguire miele, nocciole e lieve tostatura finale, che compongono un sorso intenso e di equilibrata effervescenza, chiudendo in freschezza.
Di nuovo nella Montagne de Reims con Mouzon Leroux & Fils L’Ascendant Grand Cru : Pinot Noir 60% e Chardonnay 40%, da gestione biodinamica certificata. Anche in questo caso vinificazione in legno, con metodo solera per una metà della cuvée e con vino d’annata per l’altra, fermentazione alcolica con lieviti indigeni; svolta la malolattica, non seguita da filtrazione, sosta di 56 mesi sur lattes e dosaggio 0 gr/L. Dorato e brillante, vibrante al naso, dove prevalgono i profumi di frutta bianca, seguiti in leggerezza da accenni boisé e di pasticceria; in bocca è decisamente fresco, con una tensione che risulta un po’ inattesa; le bollicine rilasciano nel finale, oltre al ricordo dei fiori bianchi, un nota lievemente amara.

Con gli ultimi due vini abbandoniamo le espressioni dei vignerons “confidenziali” e ci accostiamo alle blasonate etichette di due grandi maisons. 
Bollinger Grande Année 2008: Annata in cui prevale il Pinot Noir, qui al 71%, da Aÿ e Verzenay, con saldo di Chardonnay, dalle parcelle di Le Mesnil sur Oger e Cramant; vinificazione in barrique, élevage sui lieviti per sei anni e dosaggio di 8 gr/L. Profumi di mela golden, pasta frolla, spezie dolci e un accenno di scorza di limone anticipano un sorso strutturato e di grande equilibrio tra la vivacità agrumata e la morbida rotondità del legno, unite a precisione e piacevolezza tattili, con un finale di sapida e pulita mineralità. 
Krug Grande Cuvée 166ème Édition: questa Grande Cuvée è composta da 16% Pinot Meunier, 45% Pinot Noir e 39% Chardonnay, dalle vigne di Ambonnay, Aÿ, Le Mesnil sur Oger; vinificazione in acciaio e legno, con il 42% di vin de réserve, per la gran parte del 2010 e il resto di annate vecchie di oltre vent’anni. Evoluzione sui lieviti di otto anni e dosaggio di 6 gr/L. Naso di agrumi, note minerali, e poi frutta disidratata, brioche, eleganza e carattere insieme, anche al palato, con bollicine cremose e gustosa, sapida acidità, fino al lungo e fresco finale. In questo ultimo assaggio le sfaccettature olfattive e di gusto si svelano in un movimento fluido, nel quale la freschezza e la struttura del vino dialogano con pari autorevolezza, anticipando la ricca conclusione.

A degustazione conclusa, ritrovo un filo conduttore - pur nella decisa diversità degli assemblaggi oggetto di questa piacevolissima “indagine” – nell’elegante complessità gusto-olfattiva unita ad un grandissimo piacere di beva, caratteristiche forse prevedibili per bottiglie di questa levatura, ma per certo emozionanti quando si confermano ai nostri sensi. 

 

E anche in trasferta abbiamo celebrato il nostro rito della votazione, preceduto dalla collocazione di Krug in finalissima a prescindere; la sfida tra i due contendenti della semifinale è stata vinta da Egly-Ouriet; chi abbia poi vinto il match, nell’entusiasmo generale per una volta libero dalle restrizioni acustiche che il buon vicinato ci impone in via Mercadante, francamente non lo ricordo, ma credo di non andar lontano dal vero se penso ad un ex-aequo tra i due. Per quanto sia ormai ripetitivo sottolinearlo, poco importa: è stata davvero un’altra serata intensamente partecipata, generosa di nozioni e sensazioni, di quelle che fanno venir voglia di ripeterle presto, prestissimo. A ciò si aggiunga la gentilezza franca e sorridente di chi ci ha accompagnati nel caleidoscopico mondo degli assemblaggi champenois ed ecco che davvero non manca nulla per esser grati a Martin in regia, a Bernardo sul palco e ai nostri cinque abili sommelier in platea. 

Mariella De Francesco
Mariella De Francesco
Fiorentina di nascita, mamma friulana e papà napoletano, entrambi astemi, il solo alcol presente in casa nostra è sempre stato quello rosa per disinfettare. Scopro the bright side of the moon intorno ai trent’anni e da allora è cominciata la festa. Traduco di tutto, ma dalle 19:00 in poi ho un calice in mano al posto del mouse.

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