Quello che gli altri non dicono: i terroir del Fiano
Spesso quello che ci è più vicino, è quello che conosciamo meno: colpa di noi umani sempre proiettati in là nel tempo e nello spazio, alla ricerca del passo più lungo, che ci porti più lontano.
Penso a cose decisamente metafisiche mentre torno a casa dopo la degustazione dedicata al Fiano condotta da Martin Rance, ma con approccio terragno: quante volte e a quali vini ho pensato in termini di terroir?.
Infierisco ancora più decisamente su me stessa: e di questi vini, quanti erano italiani, quanti del sud, quanti a bacca bianca?. Alzo le mani arresa, ancora prima che il processo alla mia ignoranza sia concluso con condanna massima. Perché so, adesso, quanto prima ne sapevo poco su un grande vino.
Grande per l’aderenza al territorio di provenienza, di cui mutua ed esprime perfettamente il carattere, per le potenzialità d’invecchiamento, per certe mineralità che mi fanno pensare di essere in Francia, e invece sono in Campania, e, diamine, anche fiera di esserlo!.
Un po’ di storia…la nascita
È antichissima la storia del Fiano, tanto antica che le sue origini si disperdono nei rivoli di numerosi miti. La prima attestazione ufficiale e storiograficamente attendibile dell’Uva Apia, è del XIII secolo: il registro spese reale, ci informa che Federico II di Svevia, soprannominato “Stupor mundi”, imperatore del Sacro Romano Impero che nel tempo libero non disdegna la compagnia di artisti e letterati, nonché cultore dei piaceri del desco, dà mandato d’acquisto di “tre salme per tipo di Greco, Grecisco e Fiano”.
Qualunque sia la sua origine e provenienza, la presenza e coltivazione di Fiano in Irpinia, è costante nei secoli, fino agli anni 40 del Novecento, quando subisce un brusco arresto che rischia di essergli fatale: le due bestie nere che minano la sopravvivenza del vitigno, hanno nomi, caratteristiche e conseguenze diverse, ma stesso impatto devastante.
La fillossera attacca e distrugge le piante, la seconda guerra mondiale gli uomini. Le campagne si spopolano, la necessità di sopravvivenza spinge all’abbandono delle terre verso la ricerca delle maggiori risorse cittadine. La combinazione dei due fattori è letale: nel 1970 sopravvivono solo 2 ettari coltivati esclusivamente a Fiano.
…e la rinascita, ovvero l’uomo giusto, nel posto giusto, al momento giusto In un contesto così precario, per salvare il salvabile e ricreare il futuro vitivinicolo della regione, serviva qualcuno che avesse una visione, affatto mistica, bensì concreta, delle cose. Quest’uomo è arrivato, e il suo nome racconta molto anche oggi: Antonio Mastroberardino.
Attiva ad Atripalda dalla metà del Settecento nella coltivazione, produzione, commercio, ed esportazione di vini e uve, la famiglia Mastroberardino non ci sta a vedere sparire il mondo che da secoli conosce e che ha contribuito a creare in larga parte. È per mano del capofamiglia Antonio, che innesta nuove risorse ed energia nel territorio: finanzia il reimpianto dei vigneti, incentiva il lavoro dei contadini acquistando le uve senza lesinare nei corrispettivi.
Molti dei vignaioli che al giorno d’oggi elaborano in proprio, sono stati conferitori di uve ai Mastroberardino fino a un paio di decenni fa. Il resto è storia che ancora evolve, e colloca il Fiano sul podio dei grandi vini bianchi italiani, per la fortuna di tutti noi.
La Degustazione
Guido Marsella - Fiano di Avellino DOCG 2019…Il tempo è dalla mia parte
Partiamo dal quadrante nord, zona enologicamente giovane e con produttori di carattere (oltre al suddetto Marsella, vi dice nulla un certo Ciro Picariello?).
Siamo a Summonte, altitudine importante e terreni poveri e poco profondi a dominanza calcarea: le radici delle viti affondano fino alla roccia viva.
Le importanti escursioni termiche completano il quadro e delineano vini di acidità e mineralità importanti, ma al contempo pieni e piuttosto morbidi. Opposte tendenze che per non sfociare nella disarmonia devono trovare il proprio compromesso con la mediazione del tempo.
Marsella, mani da ex imprenditore edile e cuore in campagna, fonda l’azienda nel 1995 e, da subito ha il coraggio di rompere con la tradizione: comprende che affinché tutte le parti trovino un equilibrio ottimale, bisogna attendere. Il suo Fiano matura per un anno in acciaio e affina in bottiglia per 6 mesi: 18 mesi in conto del maggior avere, un vino perfettamente integrato con una longeva visione del futuro.
Scorre lasciando ampie lacrime nel bicchiere a testimonianza di un corpo caratterizzato dalla morbidezza alcolica: 14 gradi e non sentirli, grazie alla spinta mineralità gessosa, che caratterizza naso e bocca, alla freschezza ancora in cerca di compromessi. Aromi agrumati e vegetali di erbe aromatiche: elegante e al contempo energico, profondo. Sorso di incredibile persistenza aromatica.
Un grande bianco che trova il proprio punto d’equilibrio nelle componenti divergenti. Lo beviamo stasera col pensiero a quali intriganti storie potrebbe raccontarci fra 5 o 10 anni: come ci suggerirebbe Guido, per scoprirlo il faut attendre.
Rocca del Principe - Tognano Fiano di Avellino Docg Riserva 2019…La sintesi del nostro racconto
La formula del Fiano più tipico e titolato: Lapìo, contrada Tognano.
Basta questo per descrivere la zona più antica e vocata alla coltivazione di Fiano: merito di due consoli romani, i cui nomi sono invero abbastanza sconosciuti, Publio Cornelio Cetego e Marco Bebio Tanfilo, che nel 181 a.C. assoggettano i Liguri Apuani, disponendone la deportazione in Irpinia, zona dell’ager publicus da coltivare e mettere in produzione: sono loro che piantano barbatelle del vitigno Apuano, progenitore dell’odierno Fiano.
A questo glorioso passato deve aver pensato la famiglia Zarrella quando nel 1990 ha impiantato viti innestate con il clone di Fiano centenario prefillosserico. Il resto è merito dell’esposizione a nord est, del terreno argilloso-calcareo in profondità, limoso sabbioso con presenza di ceneri vulcaniche in superficie, del clima asciutto e ventilato, dei 550 metri d’altitudine, dalla presenza mitigatrice di numerose sorgenti di acqua, delle uve raccolte a maturazione ottimale, del lavoro di precisione svolto in cantina.
Queste le coordinate di un vero Cru, che si apre al naso diretto e senza preamboli con note minerali sufuree, ma anche frutta a polpa bianca ed erbe officinali fresche.
La ricchezza aromatica si ribadisce in retrolfattiva, dove permane una scia giocata sulle note minerali. Sorso fresco, sapido, elegante, armonico anche nelle dinamiche di bocca. Qualunque sia il racconto che vuole portare avanti Rocca del Principe, la sintesi è quella di un Fiano paradigmatico nelle sue caratteristiche: nulla di più o di meno di una grande espressione del terroir irpino.
I Favati - Fiano di Avellino DOCG Etichetta Bianca Riserva 2018…Alla ricerca della massima estrazione
Ci spostiamo nel quadrante sud, zona dove le altitudini si fanno più contenute e i terreni sciolti sono tufacei: dimentichiamo le durezze spinte di cui sono foriere le rocce vulcaniche, a favore di vini più “domestici”. Va da sé che la semplicità non è necessariamente dato negativo, e che i vignaioli avellinesi finora hanno dato prova di saper elaborare vini nati in campo, ma allo stesso tempo ragionati in cantina.
Da qui la tendenza a spingere verso vinificazioni che valorizzino appieno il carattere intrinseco di questi Fiano: vendemmia di uve a piena maturazione, sosta sulle fecce fino a primavera inoltrata. Il fine: ottenere la massima estrazione possibile. Uve selezionate e raccolte manualmente, criomacerazione, fermentazione e affinamento in acciaio per almeno 6 mesi, cui segue la sosta in bottiglia di almeno un anno: ecco la ricetta di questa riserva, che tira fuori, come da intenti, complessità e grinta.
Note piene di frutta a polpa gialla, pesca noce, tropicale, ananas, cachi maturi, mandorla fresca. Pieno e materico in bocca, dove l’acidità è indiretta ma presente. Gira armonico in bocca, dove apre polposo e chiude su note di erbette aromatiche.
Permane la nota minerale fumé nel lungo finale. Un signor vino, alla faccia di chi lo potrebbe considerare figlio di una zona più sottotono rispetto ad altre.
Vigne Guadagno - Fiano di Avellino DOCG "Contrada Sant'Aniello" 2016…Il tempo della sfida, o la sfida del tempo
Hic sunt leones: quando si parla della capacità d’invecchiamento di un bianco si ha sempre l’impressione di camminare su un terreno scivoloso. Perché se è vero che il concetto è stato ormai sdoganato, è allo stesso modo evidente che invecchiare con eleganza non è prerogativa scontata di ogni bianco.
È un'opinione del tutto personale, ma penso che parte della grandezza di quest’autoctono campano risieda proprio nell’integra fierezza con cui è capace di evolvere nel tempo.
Fermo restando, certe caratteristiche di partenza, quali un corredo aromatico e acido ereditati dal terroir di provenienza, che garantiscano longevità. Non è dunque un caso se risaliamo alla volta di Montefrèdane, quadrante nord, dove due fratelli, orfani di un lavoro in altro settore, decidono di abbracciare l’ignoto sotto forma di tre ettari di vigna a Fiano. È il 2010, e la folgorazione sulla via del vino sarà immediata sin dalla prima vendemmia.
Il prodotto di tutto ciò riluce giallo dorato intenso nel bicchiere che abbiamo davanti stasera. Uve raccolte nella prima settimana di Ottobre, vinificate in bianco dopo pressatura soffice e leggero contatto pellicolare in pressa. Fermentazione a bassa temperatura, affinamento sur lies per un anno in acciao e per un ulteriore anno in bottiglia.
E poi la pazienza di aspettare ancora qualche anno prima di arrivare a noi questa sera, alla prova del tempo: intenso e netto al naso, con aromi pieni di frutta matura, scorza d’agrumi, accenno di cera d’api e nocciola fresca. Distolgono da una certa dolcezza aromatica accenni iodati e minerali di pietra focaia. Ha perso un po’ di tensione in bocca a favore di un’avvolgente potenza.
Prova del tempo superata? Decisamente sì, e a pieni voti. Tanto che in questa corsa all’indietro nella memoria vinicola campana, ci spingiamo ancora più in là…
Di Meo - Fiano di Avellino DOCG "Alessandra" 2012…la primogenitura, un’etichetta irripetibile
Costa est, zona antica dove si trovano anche gli universalmente noti Mastroberardino e Feudi San Gregorio, da qui è partita la rinascita del Fiano negli anni 80 del Novecento.
Spesso, quando si percorrono le strade della viticoltura “artigiana”, espressione virtuosa di un territorio e di chi lo coltiva, si parla allo stesso tempo delle storie di una famiglia, più o meno radicata nel mestiere, nuova, antica, blasonata, tradizionale o di fatto. Questo vino non solo racchiude la storia della famiglia Di Meo, ma racconta la storia di Alessandra, prima figlia, primo ponte verso un luminoso futuro aziendale.
Prodotto nel suo anno di nascita da uve raccolte nell’omonima vigna, è allo stesso tempo una dichiarazione d’intenti sul piglio futuro della giovane virgulta, e una dichiarazione d’amore per il tempo che passa. Vendemmia delle uve a leggera surmaturazione, macerazione sulle bucce, fermentazione a temperatura controllata e 36 mesi di affinamento, ripartiti equamente fra acciaio e bottiglia.
Opulento e vigoroso allo stesso tempo, gli aromi si aprono su un ampio ventaglio di note floreali (ginestra e fiori d’acacia) e fruttate (pesca gialla, nespola), cui seguono la castagna secca, la nocciola tostata e in un crescendo netto, il burro di cacao e la cera d’api. L’armonia aromatica è data dal contrappunto delle note grasse e a tendenza dolce con quelle più pungenti di tostatura. In bocca è pieno, avvolgente, la retrolfattiva rimanda a tutta la complessità aromatica già percepita al naso.
Un vino allo stesso tempo materico e ideale, stoffa e leggerezza, pieno e complesso nei suoi diversi umori. Se Alessandra mutuerà le stesse caratteristiche del vino a lei dedicato sarà una futura donna decisamente di carattere!
Il mistero che scompiglia le carte…Dryas Metodo Classico Dosaggio Zero
Data la potenza caratteriale di “Alessandra” Di Meo, la chiusura della degustazione era nodo non semplice da sciogliere. Ma il Fiano, e questo ormai è dato assodato per tutti, è vitigno dalle mille espressioni e dalle infinite possibilità.
Cambiamo versante, di nuovo al nord, ancora a Montefrèdane: altitudine media 450/500 m s.l.m, terreni prevalentemente argillosi con larga presenza di scisto e calcare. Importanti escursioni termiche, che si traducono in ampi corredi aromatici e acidità spinte. Le condizioni ideali ci sono tutte, e i coniugi Loffredo, quando nel 2011 fondano la propria azienda sotto il segno di una quercia secolare che domina i due ettari di terreno vitati, le colgono al volo: Fiano sarà, ma spumante.
Su questo puntano, elaborando sia uno charmat che un metodo classico, che rifugge da ogni compromesso: prodotto in soli 200 esemplari, millesimato 2015, tiraggio nel 2016, quindi lunga sosta sui lieviti per 48 mesi. Sboccatura nel 2020 senz’aggiunta di zuccheri. La voce del vitigno è quella che si vuole esprimere, riuscendoci appieno.
Mousse non particolarmente fine e persistente ma piacevole in bocca, al naso gli aromi rimandano sia al vitigno che al metodo di elaborazione: ai fiori d’acacia e alla nespola, succedono note di lievito e crosta di pane ancora in evoluzione.
Caratterizzato da una fresca acidità e da buona mineralità, non denuncia di primo acchito la lunga sosta sui lieviti, giocando sul sorso asciutto, integrale, appagante. Spumante che gioca sulla verticalità, non è difficile immaginarlo come degno compare di un’opulenta frittura di pesce.
Ogni degustazione è un viaggio e una scoperta: ma a Martin dobbiamo qualcosa in più stasera, perché le rotte sono state innumerevoli. Mai nessuno prima d’ora, parlo a titolo personale, mi aveva aperto al concetto di terroir applicato a questo vitigno.
E il viaggio, da nord a sud, da est a ovest per l’Irpinia, dietro il segno di terreni e caratteristiche pedoclimatiche peculiari, non è stato affatto astratto: il bicchiere, in cui alla fine, risiede sempre la verità, ha confermato tutto quanto esposto. E non si è fermato nemmeno a questo.
Oltre ai terroir diversi, ci ha mostrato le diverse declinazioni di un grande vino, sempre interessante a prescindere dalla faccia con cui si mostra. E, last but not least, ci ha fatto vedere tutto attraverso i suoi occhi: lo sguardo di chi questo vitigno lo sente scorrere nel sangue.
Quando ne parla usa sempre l’espressione “il mio Fiano”. Da stasera, anche un po’ il nostro Fiano, Martin, grazie a te!.
Valentina Pizzino
Nata a Firenze da una famiglia di astemi, non ha mai dubitato che nelle sue vene scorresse Chianti Classico. Lavora fra i libri, ma gli scaffali che preferisce sono quelli delle enoteche. Il suo centro di gravità permanente è sempre ruotato attorno a una bottiglia.