5 gennaio 2025

Al contadino non far sapere quanto è buono il cacio con le pere

Al contadino non far sapere quanto è buono il cacio con le pere

Il Medioevo è trascorso da poco.

Il formaggio era ancora considerato cibo primordiale, associato al mondo dei pastori e dei contadini, alla gastronomia povera. Il formaggio è il cibo di Polifemo, l’uomo – bestia, non toccato dal processo di civilizzazione. Nel suo antro munge le pecore, fa cagliare il latte e lo versa nei canestri, sarà la sua cena. È una scena che per lungo periodo ha caratterizzato l’immagine primitiva delle popolazioni “barbare”.

Con il Rinascimento ha inizio un periodo di nobilitazione del formaggio. 

Compare alla mensa dei signori, dove non costituisce il pasto, ma è la fine del pasto, spesso affiancato alla frutta, alimento questo appartenente solo alla stretta cerchia nobiliare. 

Non può far parte dell’alimentazione dei villani: sfama poco e deperisce rapidamente.

Il matrimonio cacio-pere anche se considerato azzardato è uno dei migliori riusciti in ambito gastronomico. I nobili lo sapevano bene, ritenevano di avere palato raffinato e stomaco diverso dai plebei. Il loro non era un semplice “sfamarsi” ma soddisfare un piacere, cosa impossibile ai “villani”, sempre a combattere per mettere insieme il pranzo con la cena.

Questo proverbio ha sempre destato curiosità ma il suo significato è sempre rimasto misterioso e difficilmente comprensibile. 

Diciamo subito che non nasce in seno alla saggezza popolare, come la maggior parte dei proverbi, ma dalla voce della nobiltà che non intendeva mescolarsi con la classe dei poveracci.

Tante le chiavi di lettura, questa che segue è la mia. Mettetevi comodi…

Ci troviamo nel bellissimo periodo del Rinascimento Fiorentino.

Due nobili, volto roseo e ventre pingue, in un assolato pomeriggio di fine ottobre, mani dietro la schiena, passeggiano tra i filari del vigneto.

- Che ti dicevo? il formaggio con le pere è meraviglioso, ti fa sentire contemporaneamente il dolce e il salato in un connubio perfetto

- Si è vero, è fantastico, però bisogna stare attenti, questo segreto deve rimanere fra noi, se lo viene a sapere il contadino, anche lui vorrà le pere, ma non sarebbe mai in grado di apprezzare tale prelibatezza, lui è diverso, non ha il nostro buon gusto e rovinerebbe tutto. Inizierebbe a mangiare pere e formaggio, sottraendole così al nostro piacere solo per soddisfare la propria fame.

- Quindi al contadino non dobbiamo far sapere quanto è buono il formaggio con le pere!

Entrambi annuiscono, continuano a camminare, sempre mani dietro la schiena e sguardo rivolto verso la punta lucida delle calzature.

 Ricetta risotto cacio pepe e pere

 Ora che abbiamo visto la storia del proverbio, rendiamo onore a quella fetta di popolo che è sempre stata esclusa e mantenuta nell’ignoranza per salvaguardare un privilegio di pochi. Rendiamo pubblica e condividiamo questa ricetta che mette insieme in maniera moderna il cacio con le pere.

Ingredienti semplici e di facile reperibilità, devono quindi essere di qualità eccellente.

Per due persone abbiamo bisogno di brodo vegetale, almeno un litro, due piccole pere Wiliams, preferibilmente biologiche, mature e sode, pepe nero macinato di fresco, pecorino romano grattugiato, due cucchiai di robiola, uno scalogno, due pugni di riso carnaroli a testa, maggiorana e chicchi di melograno per decorare.

Mettiamoci il grembiule, c’è un po’ da fare.

Lavare e asciugare le pere. Con una mandolina affettarne una, finemente, con la buccia.  Mettere le fettine di pera ottenute su una teglia rivestita di carta forno e farle essiccare in forno caldo con modalità ventilata a 180° per 15 – 20 minuti. Vanno tenute d’occhio, il passaggio dall’essere disidratate a bruciate è infinitesimo.

Tagliare a dadini molto piccoli l’altra pera sempre con la buccia e tenerla da parte.

A questo punto si trita finemente mezzo scalogno e si fa appassire con una noce di burro in un tegame dai bordi alti.

Quando lo scalogno risulterà trasparente, aggiungere il riso, alzare la fiamma e farlo tostare, mescolando continuamente per un paio di minuti.

Bagnare con mezzo bicchiere di vino bianco. Far evaporare la parte alcolica, abbassare la fiamma e sempre girando aggiungere un mestolo di brodo bollente alla volta cuocendo il risotto, ci vorranno dai 15 ai 18 minuti.

Dopo 10 minuti di cottura, aggiungere i dadini di pera tenuti da parte.

Mettere la robiola a tocchetti nel vasetto del minipimer con un cucchiaio di pecorino e un mestolo di brodo, frullare per una trentina di secondi, fino a farla diventare omogenea.

A cottura ultimata spegnere la fiamma, unire la crema di robiola e pecorino, una bella macinata di pepe nero e salare poco, considerate che ancora ci andranno due cucchiai di pecorino.

Aggiungere un pezzetto di burro, chiudere con il coperchio e lasciar riposare per qualche minuto.

A questo punto si aggiunge un altro po' di pecorino, si mescola bene e siamo pronti per impiattare.

Sul fondo di un piatto piano si mette il risotto, una spolverata di pecorino, qualche foglia di maggiorana e chicchi di melograno distribuiti casualmente.

Infine, si aggiungono le fettine di pera essiccate, cercando di dare verticalità, anche l’occhio vuole la sua parte.

 Abbinamento cibo vino non semplice.

Il piatto ha note sapide, cremose e tendenzialmente dolci.

Abbiamo bisogno di un vino che possa offrire freschezza, una leggera sapidità e un minimo di residuo zuccherino.

In cantina avevo questo Riesling della Mosella Spatlese 2018 che incarna tutte le caratteristiche ricercate.  Accoppiata perfetta, ogni sorso libera il palato preparandolo al boccone successivo.

Il piatto da solo è sufficiente e il pranzo si può concludere fra chiacchiere e sorsi di Riesling.

Dimenticavo, abbiamo lasciato i nostri due nobil signori a passeggio fra i filari del vigneto.

Non si sono accorti che, nascosta dietro una bigoncia, c’è una contadinella. Volto magro, capelli raccolti in un cencio sudicio, occhi svegli e intelligenti.

Ha appena sentito enunciare il proverbio, “al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere” e mordendosi il labbro inferiore ripete fra sé e sé:

- Miei cari signori, il contadino che non è un coglione, lo sapeva prima del padrone!

Vincenzo Guarnaccia
Vincenzo Guarnaccia

Cardiologo nella vita.
Una grande passione per la cucina e il vino.
Un’altra nel cassetto: “raccontare storie".

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