17 ottobre 2017

Metti una sera con le bollicine insolite

Metti una sera con le bollicine insolite

Ci sono due fenomeni che procedono di pari passo negli ultimi anni: da una parte l’apprezzamento sempre crescente di pubblico e esperti del settore per le bollicine di qualità, anche italiane (non di solo Champagne si vive…).
Proprio in questi giorni la Doc Franciacorta, trasformata in Docg negli anni ’90, compie 50 anni in ottima salute, celebrata in Italia e nel mondo.

Dall’altra, la valorizzazione del concetto di terroir e l’attenzione crescente verso vitigni autoctoni, in grado di esprimere al meglio quella complessa “recondita armonia di bellezze diverse” che è il patrimonio pedoclimatico dell’Italia.

Sinossi della serata

Ça va sans dire, non si poteva dunque mancare alla serata ideata e realizzata da Martin Rance sugli Spumanti Metodo Classico da uve autoctone.
Si parla di Metodo Classico, quindi vinificazioni lunghe e attente, con vini che in qualche caso, hanno avuto permanenza sui lieviti di oltre 6 anni!
Il fil rouge di stasera sarà l’estrema qualità di tutti i vini presentati, riconoscibile in ognuno di essi indipendentemente dai gusti personali.
Le uve usate per le cuvée al posto dei blasonati e immediatamente riconoscibili Chardonnay o Pinot nero, sono autoctone, a volte addirittura di “provenienza umile”, usate in passato come uve da taglio e oggi riqualificate da vignaioli sperimentatori e illuminati.

La tendenza scopriamo essere trasversale, dalla Valle d’Aosta all’Etna: attraverseremo lo Stivale, conoscendo la personalissima idea che ogni produttore ha del metodo classico declinato con l’uva che conosce meglio di chiunque altro, essendo quella di “casa sua”.
Prodotti diversi ma con un comune denominatore, come ci spiega Martin con l’aria di chi la sa lunga: il terreno, spesso di origine vulcanica e ricco di minerali.
E se l’equazione fra terreni ricchi di minerali e condizioni climatiche di forte escursione  termica fra giorno e notte, dà come risultato uve con aromi concentrati e ottima componente acida, ecco che abbiamo il frutto perfetto per elaborare i vini base che concorreranno alla creazione di uno spumante.


La Degustazione dei sei vini....

La cronologia della degustazione vedrà spumanti rosati inframezzati ai bianchi: per coerenza è stato scelto di seguire l’ordine di affinamento in anni dei vini piuttosto che quello canonico di servizio.

Dopo un breve e incisivo preambolo sulla storia e le tecniche di elaborazione di uno Spumante Metodo Classico, Martin ci guida agile e sicuro nella degustazione, partendo da un vino a cui tiene particolarmente, perché prodotto nel suo luogo natale: il Caprettone Casa Setaro 2014 (Brut).
L’azienda agricola si trova a Trecase, alle falde del Vesuvio, zona in cui la coltivazione della vite era già praticata nella Magna Grecia. I terreni sabbiosi-ghiaiosi di origine vulcanica permettono la coltivazione di viti a piede franco. Il Caprettone è un’uva a lungo erroneamente confusa con la Coda di Volpe bianca, che rientra nell’uvaggio della Doc Lacryma Christi del Vesuvio Bianco.
Usata qui in purezza, sta 30 mesi sur lies e un anno in bottiglia: il risultato è un vino con un perlage non finissimo, che soprattutto in apertura esprime molto bene il varietale. All’attacco si percepiscono note floreali di ginestra, poi si fa strada una buona mineralità. Lasciato un po’ nel bicchiere, comincerà a virare verso aromi terziari di lievito e sottile idrocarburo.
In bocca rivela una buona componente acida, sentori floreali e fruttati preponderanti, e chiude con una piacevole scia sapida. Vino da aperitivo in riva al mare.

Da Napoli alla Valle d’Aosta il passo è breve, agevolato dall’arrivo del XXIV Ermes Pavese 2013 (Pas Dosé), a base Prié Blanc.
Ci troviamo a Morgex, ai piedi del Monte Bianco, sulla sponda sinistra della Dora Baltea: mille metri d’altezza, mica scherzi. Qui si coniuga l’espressione “viticoltura eroica”: il sistema d’ allevamento a pergola bassa non rende facile la vendemmia, sempre manuale (impossibile la meccanizzazione). Le forti escursioni termiche sia stagionali che giornaliere fanno del Prié Blanc un’uva estremamente acida: il citrino nel vino si ritroverà tutto. Dal nome del vino si evince la permanenza sui lieviti, 24 mesi. Essendo non dosato, alla sboccatura viene addizionato con vino della stessa annata, senza aggiunta di zucchero.
Anche qui il perlage non eccelle per finezza. Al naso l’agrume è preponderante, seguito dalla componente floreale. Poco percettibili i sentori di lievito. In bocca si conferma con spiccata acidità, molto spostato verso le componenti dure. Complessivamente piacevole per un aperitivo, difficile l’accostamento al cibo per via del citrino sostenuto.

Passiamo ai due rosati, iniziando col Kius Extra Brut 2013 Marco Carpineti  a base Nero Buono di Cori.
Siamo nel Lazio, a Cori, in una zona collinare  a 400 metri d’altitudine baciata dalle brezze marine e sin dal 1994 l’azienda persegue l’obiettivo di un’agricoltura virtuosa, biologica, approdando ultimamente all’applicazione di metodi biodinamici. Anche il Nero di Cori è un’uva da taglio, grazie al caratteristico colore scuro carico. Gli acini hanno buccia molto pruinosa  e buona acidità.
Il vino subisce una breve criomacerazione che gli conferisce un colore buccia di cipolla tenue, e sosta sui lieviti per 30 mesi. Il perlage è molto fine: la cifra di questo vino è proprio l’eleganza, forse giocata un po’ a discapito dell’aromaticità. Il naso resta un po’ timido anche nell’evoluzione, con sentori di pompelmo rosa , piccoli frutti di bosco, accenni dolci di lievito. Il sorso è molto gradevole,  soddisfacente, morbido.

Aumentano i giri del motore col successivo Lambrusco Rosé di Modena Spumante DOC MC 2012 elaborato da Christian Bellei di Cantina della Volta, insignito anche quest’anno del titolo di “grande vino” nella guida Slow Wine 2018 in uscita in questi giorni.
Si parla modenese, con un lambrusco di Sorbara da uve provenienti dalla zona più pregiata della denominazione. Qui la macerazione sulle bucce è più spinta, si percepisce la nota tannica nel vino, che riposa 36 mesi sur lies. Perlage fine e persistente, color rosato tenue, sprigiona aromi di ribes e frutti di bosco, melograno, petali di rosa. Piacevolmente agrumato, sentori più netti di lievito rispetto al vino precedente. Beva piacevolissima ed elegante.

Ci spostiamo a Roncà (Verona) dove Fongaro produce il Pas Dosé Metodo Tradizionale Classico Etichetta Verde 2011 (Brut) a base Durella, la cui presenza in zona è attestata già dal 1300. Anche qui i terreni di origine vulcanica conferiscono all’uva una spiccata acidità.
Fongaro produce esclusivamente vini metodo classico: nel caso dell’Etichetta Verde la maturazione sui lieviti non è mai inferiore ai 36 mesi, ma per la bottiglia aperta stasera, si arriva a ben 58!. Aromi molto evoluti di frutta matura, miele, lievitati dolci, ottima struttura in bocca, acidità ancora importante nonostante i sei anni di evoluzione: si comincia a testare un vino che può sostenere grazie a struttura e personalità anche un pasto completo.

Torniamo in Romagna col Cà Besina Colli di Scandiano e di Canossa DOP 2010 di Casali Viticultori, a base Spergola, vitigno ufficialmente riconosciuto solo nel 2002.
La sosta sui lieviti è di 5 anni. Bellissimo il colore giallo paglierino “burroso”. Aromi di frutta secca, mandorla armellina, pane di segale. Attacco di bocca dolce che evolve verso aromi terziari sulfurei-idrocarburici. Sorso strutturato e complesso.

....e il vino misterioso

Siamo al vino misterioso e le aspettative sono molto alte, dato il livello di quanto finora degustato.

Martin ci aveva messo in guardia fin dall’inizio: è nei suoli di origine vulcanica che si vanno a stanare le uve più adatte alla spumantizzazione. Ed è ai piedi del vulcano per eccellenza, l’Etna, che veniamo condotti, con l’Etna Sicilia Extra Brut 2009 Murgo, elaborato da Nerello Mascalese. Il vino misterioso è un Blanc de Noir!.
Le vecchie viti  ad alberello (arrivano anche a 100 anni) sono coltivate a piede franco su terreni vulcanici sabbiosi, e subiscono un’ escursione termica anche di 30 gradi fra il giorno e la notte.
Il vino sosta sui lieviti per 6 anni e mezzo. Superbi aromi floreali (camomilla)  e fruttati (mela), crosta di pane, nota balsamica potente, ottima mineralità. Complessità e struttura si coniugano con un’eleganza eccezionale.
Vox Populi ha decretato questo come miglior vino della serata. Parere personale, se la potrebbe giocare ad armi pari anche con uno Champagne (d’altronde l’Etna è terra di grandi vini, ambita oggi da molti produttori disposti a pagare cifre da capogiro per aggiudicarsi preziosissime parcelle a ridosso del vulcano).

Conclusioni

Da sottolineare l’incredibile rapporto/qualità prezzo dei vini assaggiati stasera: quasi tutti non sforano il tetto dei 25 euro di spesa, unica eccezione il XXIV Ermes Pavese, che spunta un prezzo più alto.

Martin ci ha fatto conoscere vitigni autoctoni in una veste insolita e vini di incredibile piacevolezza e qualità.
La platea alla fine rumoreggia entusiasta, parte l’applauso per l’eccellente relatore e ognuno dichiara il proprio vitigno di preferenza, con un occhio di riguardo per la Campania che stasera, in un colpo solo, ci ha regalato due dei suoi prodotti migliori: l’uva Caprettone e Martin Rance!                               

Per chi fosse interessato, qui e qui gli altri due articoli dedicati alla trilogia sui Lieviti.

Valentina Pizzino
Valentina Pizzino

Nata a Firenze da una famiglia di astemi, non ha mai dubitato che nelle sue vene scorresse Chianti Classico. Lavora fra i libri, ma gli scaffali che preferisce sono quelli delle enoteche. Il suo centro di gravità permanente è sempre ruotato attorno a una bottiglia.

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