24 febbraio 2020

Il convegno “L’architettura del vino nell’era dell’enoturismo”

Il convegno “L’architettura del vino nell’era dell’enoturismo”

Addentrarsi nella conoscenza del vino anche senza il calice a portata di mano

L’Auditorium di Sant’Apollonia di Firenze ha ospitato lo scorso 14 febbraio l’interessante convegno citato nel titolo. L’incontro, inserito nell’ambito degli eventi gravitanti intorno a BuyWine e alle Anteprime dei Consorzi di Tutela toscani, è stato ideato dalla redazione della storica rivista di architettura Casabella, con il patrocinio della Regione Toscana e la collaborazione di Toscana Wine Architecture, Federazione Strade del vino, dell’olio e dei sapori di Toscana e di ProViaggi Architettura.

Le parole introduttive del direttore di Casabella, Francesco Dal Co, hanno sottolineato la natura profondamente culturale del vino, inteso come espressione identitaria di luoghi e popolazioni e il potenziale che esso esprime, lo si vede ormai da tempo, come catalizzatore per percorsi turistici che non siano soltanto quelli irrinunciabili e congestionati che convergono verso i landmark artistici urbani.
Il turismo legato al vino è senza ombra di dubbio un motore in grado di portare visibilità e carburante economico a zone altrimenti penalizzate dalla marginalità rispetto agli itinerari dei variegati e spesso effimeri grand tour contemporanei. È in questo contesto di possibilità di crescita o di espansione dell’esistente, che negli ultimi 20/30 anni si è assistito al sorgere di cantine ad opera di architetti più o meno celebri, in quasi tutte le aree del mondo dove si coltiva la vite. Complice l’evoluzione nel tempo del significato percepito del vino, l’architettura delle cantine supera l'ambito puramente settoriale per farsi anche espressione artistica, in grado di interpretare un contesto territoriale e culturale insieme.

Non solo dunque impianti di produzione ristrutturati o edificati ex novo col fine di razionalizzare la lavorazione delle uve, ma spesso pensati espressamente come potente strumento di comunicazione dell’immagine dell’azienda committente e  vessillo del territorio in cui questa si trova. Concepiti quindi come polo attrattivo e di accoglienza di un turismo extra-urbano che possa fare esperienza non solo dell’arte all’interno dei musei e di quella a cielo aperto, come nel caso delle nostre città, ma anche della bellezza dei paesaggi rurali che accolgono queste architetture e che possa entrare in contatto con quel condensato potente di storia, tradizioni, emozioni e status rappresentato dal vino.

Le cantine della modernità, tra glamour autoreferenziale e vari gradi di sobrietà

L’architetto Francesca Chiorino, del comitato redazionale di Casabella, espone un excursus storico/geografico, da cui emerge come un edificio in particolare sia assurto a riferimento in questo ambito: la cantina Dominus Estate, in Napa Valley, terminata nel 1998 da Herzog & De Meuron, ha rappresentato il modello a cui guardare per la generazione di progettisti che si è messa all’opera tra la fine Novecento e gli albori del nuovo millennio. La lunga facciata dell’edificio, scandita da gabbie metalliche contenenti pietre basaltiche, è un segno forte, che rimanda senza esitazioni al substrato geologico su cui poggia l’intera struttura, ben integrandosi nel contesto ambientale.
L’Europa naturalmente risponde, vedremo come, con esempi che ci portano in Spagna, Svizzera, Francia, Portogallo e Italia.
Quattro gli interventi in Spagna: 
Santiago Calatrava firma nel 2001 nella Rioja Alavesa le Bodegas Ysios (immagine di apertura): rivestimento delle coperture in alluminio, per rifrangere i raggi solari, curve sinuose come la Serra Cantabrica sullo sfondo, un’iperbole centrale e specchi d’acqua intorno a riflettere ulteriormente il paesaggio, un tratto deciso e riconoscibile del celeberrimo architetto spagnolo, che tiene conto della natura circostante.
Foster & Partners progettano nel 2010 una struttura nella Ribera del Duero, la Bodega Portia, che a seconda dell’occhio di chi guarda (e del potere delle libere associazioni…) può ricordare un ufo o un trifoglio, di sicuro impatto e richiamo, con le sagome dei tini in acciaio che quasi fuoriescono dalla facciata. L’interno però non trascura la funzionalità e asseconda la finalità prioritaria di coniugare il flusso di visitatori con le necessità produttive.
In Catalogna il gruppo RCR Arquitectes nel 2007 dà vita, con le Bodegas Bell-LLoc, ad un progetto decisamente più integrato nel contesto circostante, parzialmente ipogeo, citazione manifesta della grotta ancestrale dell’antichità produttiva, facendo in modo che la luce naturale arrivi a filtrare dove necessario e dove crei impatto, come nella sala degustazione. 
Recentemente sono molte sono le cantine ipogee realizzate, le quali, nell’apprezzabile tensione al rispetto del paesaggio, pongono criticità progettuali legate soprattutto alla creazione di connessioni con l’ambiente e la luce esterni.
Di nuovo in Catalogna, con Bodega Mont Ras, a firma Vidal-Rahola (2006). Riferimenti al modernismo catalano per una cantina in cui domina l’impiego di materiali poveri, come il laterizio, il calcestruzzo, il legno. Grande sobrietà nel risultato finale.
Ci spostiamo in un territorio di fama enologica meno immediata, ma dove l’attenzione al paesaggio e, di conseguenza, ai vigneti è questione affrontata con il consueto elvetico rigore. In Svizzera la proprietà del Weingut Gantenbein, nei Grigioni, ha affidato nel 2007 allo studio Bearth & Deplazes l’ampliamento di una preesistenza rurale. Si è adottata una copertura a falde, fedele alla tradizione costruttiva locale e nel contempo è stato accolto in pieno l’apporto delle nuove tecnologie per la definizione della facciata, in pannelli di laterizio la cui tessitura è stata elaborata da un sistema robotizzato.
In Francia, a Saint Emilion, Jean Nouvel nel 2014 riprogetta Château La Dominique. Le lunghe superfici riflettenti e cangianti rosse, che delineano un prisma che emerge con forza nel paesaggio, sono un’autocitazione del celebre architetto; sul tetto a terrazza della struttura un’estesa installazione artistica, perle di vetro rosso su cui si può camminare, chiaro rimando agli acini d’uva che un tempo venivano schiacciati senza l’ausilio delle macchine.

Un approccio che più diverso non si potrebbe in Portogallo, valle del Douro, alla Quinta do Portal, realizzato nel 2008 da Álvaro Siza: profonda consapevolezza del territorio, basamento dell’edificio in scisto e utilizzo del sughero per la parte superiore, citando in questo caso gli elementi geologici e botanici tipici di quest’area. Gli interni sono quasi monacali, spogli, un opificio rivisto in chiave industriale.
Sempre nella stessa regione, la Quinta de Nàpoles, progettata nel 2000 da Andreas Burghardt è anch’essa definita da interventi in sottrazione, con impiego di materiali propri del luogo e richiami che si rivolgono al territorio, come i terrazzamenti in pietra riproposti nell’architettura, cadenzata da dislivelli orizzontali. Anche qui gli interni sono di impronta industriale, ma vengono scaldati dall’uso della pietra e dai tagli di luce che filtra dall’alto.

Valle del Douro: un poema geologico ed il suo aedo contemporaneo

La parola passa poi all’architetto portoghese Francisco Vieira de Campos, creatore di volumi minimalisti (che nella loro purezza e forza ricordano le opere di Tadao Ando) inseriti in maniera davvero mirabile nel contesto naturalistico del Douro (patrimonio Unesco), definito poema geologico. Tra i vari lavori qui presentati, quattro interventi tra cantine e hoteles rurales, uno in particolare (del 2011) mi è parso emblematico della poetica progettuale di de Campos: si tratta della Quinta do Vallado; una cantina pensata in dialogo con la storia, a partire da un edificio risalente al XVII secolo. Il paesaggio della valle del Douro è molto scosceso, diviene quindi prioritario saper lavorare con la topografia dei luoghi. Con l’obiettivo di costruire una struttura in cui si possa vinificare per gravità, si è dovuto tener conto degli strettissimi vincoli paesaggistici locali, che impediscono di deviare i percorsi preesistenti e di scavare. La sfida creativa è altissima in presenza di questi limiti, ma il pragmatismo ingegneristico adottato si è condensato in una poetica della materia nuda, di una nudità nobilissima, che unisce, come l’architetto dichiara, “tecnologia e nostalgia“, innovare ricordando. L’autore del progetto ha quindi risolto il nodo cruciale del collegamento tra le varie infrastrutture della cantina ricavando un tunnel di connessione tra antico e nuovo, rispettando le cavità disponibili e adattando il suo lavoro alle pendenze del terreno. Anche la scelta dei materiali connota il registro progettuale: materie povere, in perfetta coerenza con l’esiguità di mezzi propria della tradizione regionale: all’esterno pietra scistosa, negli interni cemento, legno. Scabrosità primitiva, niente linee curve o levigate, eppure una leggerezza di tocco che accarezza il paesaggio, impreziosendolo di segno e di pensiero. Lo studio di Francisco Vieira de Campos si chiama Menos è Mais

La risposta toscana: la contemporaneità possibile

Il convegno prosegue riportandoci in Toscana, con le testimonianze dirette e le considerazioni di chi le architetture del vino le commissiona e di chi ne interpreta le richieste. Toscana Wine Architecture riunisce in tutto 14 cantine toscane, associate per promuovere congiuntamente il territorio con l’obiettivo condiviso di coniugare esigenze di marketing e sostenibilità ambientale. Tra i denominatori comuni la vinificazione per gravità, la climatizzazione naturale, l’integrazione paesaggistica, il mantenimento della funzionalità produttiva anche in presenza di flussi di visitatori.
Interviene per primo Lamberto Frescobaldi, riferendosi alla Tenuta Ammiraglia di Magliano; racconta di un progetto dalla lunghissima incubazione, affidato a Piero Sartogo, improntato alla volontà di contenere i costi e di rispettare l’efficienza del sito produttivo, ma anche di costituire un biglietto da visita prestigioso e non invasivo per il territorio ospite e di lasciare una traccia di bellezza trasmissibile alle generazioni future. 
L’architetto Edoardo Milesi, firma della cantina di ColleMassari a Cinigiano, ritiene abilità indispensabile del progettista la capacità di ascolto: ovviamente ascolto della committenza, che qui chiedeva efficienza sul modello californiano nel rispetto del contesto agricolo, ma anche ascolto dello spirito del luogo, paesaggio e persone insieme, e specialmente enologi e cantinieri, riuscendo così a realizzare forme funzionali che assecondino le esigenze di chi vive la cantina quotidianamente come luogo di lavoro. 
Renzo Cotarella, amministratore delegato di Marchesi Antinori, sottolinea quanto sia vincolante il rapporto tra vigna e cantina e quanto sia importante che le architetture non condizionino né l’una né l’altra, tenendo ferma la necessità di rendere i siti produttivi facilmente fruibili da parte di chi ci lavora. Parlando del progetto della cantina Antinori nel Chianti Classico realizzata a Bargino dallo studio di Marco Casamonti, spiega la necessità di costruire qui una struttura che coniugasse tradizione secolare di famiglia e spirito di innovazione, ma che fosse anche la sede centrale dove far confluire i dipendenti in precedenza operativi presso Palazzo Antinori a Firenze.

 
Piermario Meletti Cavallari, proprietario della Tenuta delle Ripalte all’isola d’Elba, ricorda che la sua è un’attività di dimensioni medio/piccole, è stato quindi necessario calibrare i costi del progetto architettonico, affidato a Tobia Scarpa, sulla limitata produzione aziendale. I rigidi vincoli propri del parco dell’Arcipelago Toscano, di cui l’Elba fa parte, hanno suggerito di impiantare prima la vigna e poi di costruire la cantina, il cui progetto è stato presentato con 5/6 vendemmie alle spalle. Ed è la vigna affacciata sul mare ad emergere come protagonista, la cantina infatti risulta invisibile dal mare grazie ad un terrapieno frontale. Netti i richiami all’archeologia industriale, vista la presenza delle miniere intorno e anche all’interno della tenuta.

Conclusioni e…

La mattinata termina con le riflessioni sulle prospettive evocate dal tema del convegno. 
Gennaro Giliberti, dirigente in Regione Toscana, ricorda che è stato approvato all’unanimità lo scorso dicembre un decreto che delinea le possibilità aperte per l’enoturismo, a disposizione dei soggetti qualificati a metterle in pratica, nel quale sono stati definiti gli standard minimi da rispettare, in termini di qualità dei servizi offerti e sicurezza dei luoghi.
Roberto Bosi, di ProViaggi Architettura, rimarca la costante del dover conciliare i flussi di visitatori con il tempo sempre più ridotto di permanenza da parte di questi ultimi, di come sia invece necessario comunicare l’importanza del tempo stesso come strumento irrinunciabile per la comprensione ed il godimento di un territorio; sfiorarlo distrattamente non è una strategia di lungo respiro per chi accoglie e non arricchisce l’esperienza di chi visita.
Conclude Michele Manelli, proprietario a Montepulciano della Cantina Salcheto, che fa parte del circuito di cantine sopra ricordato. Fin dall’inizio della sua attività è stato un convinto assertore della sostenibilità, non solo come percorso progettuale virtuoso e necessario, ma anche come attrattiva turistica (e il tempo gli ha dato ragione). Ci ricorda che se il vino è esperienza, è emozione, auspicabilmente non troppo insta-fast, il contesto rappresentato da una cantina e dai suoi vigneti deve confermare e accompagnare armoniosamente questa visione generale. 
Ben vengano allora anche le cantine griffate, se sono in grado di attirare un turismo incuriosito e paziente, se il protagonismo dell’archistar non mortifica la bellezza preesistente e non impedisce al cantiniere di svolgere serenamente il proprio lavoro. In questi luoghi extra moenia è forse più facile pretendere il Tempo da parte di chi decide di farvi una sosta. E questi valori – la preziosità del tempo, il rispetto per l’ambiente, il dialogo non dissonante con natura e genius loci - non sono nostri in quanto toscani, o europei, in quanto produttori o appassionati di vino, o in quanto esteti innamorati di bei paesaggi. Dobbiamo sentirli nostri, di tutti, perché lo sono nel senso più profondo ed urgente.
E poiché non è mai saggio salutarsi con eccessiva serietà, mi sembra giusto ricordare che all’uscita della sala i nostri sommelier di FISAR Firenze hanno accolto il pubblico proponendo in degustazione i vini di alcune delle cantine aderenti al progetto, riuscendo anche a tenere alto con garbo lo stendardo della galanteria, a fronte di una calca a tratti un po’ pressante. L’ultima parola al vino dunque, rivelatore sempre e comunque!

 

Mariella De Francesco
Mariella De Francesco
Fiorentina di nascita, mamma friulana e papà napoletano, entrambi astemi, il solo alcol presente in casa nostra è sempre stato quello rosa per disinfettare. Scopro the bright side of the moon intorno ai trent’anni e da allora è cominciata la festa. Traduco di tutto, ma dalle 19:00 in poi ho un calice in mano al posto del mouse.

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