8 novembre 2022

Trento DOC: quando parla il terroir

Trento DOC: quando parla il terroir

Confesso: posseggo alcune (opinabili) qualità e molti difetti. Alcuni, intrisi anche di autocompiacimento.
Fra questi, l’assoluta mancanza del dono della sintesi. Tendo a essere veloce nel pensiero e logorroica nell’esposizione dello stesso. Penso sia tirchieria intellettuale possedere 1000 parole per esprimere un concetto ed usarne solo 500. Nel dubbio, ne metto in campo 1500, melius abundare quam deficere.
Ecco perché sono colta solo ora, al momento del confronto con lo schermo bianco, dal dubbio di non essere la persona adatta per descrivere un evento con le seguenti caratteristiche: nato dalla collaborazione di 10 delegazioni, 10 vini in degustazione; nemmeno la tovaglietta misura standard riesce ad accoglierli nell’interezza. I 5 bicchieri schierati, vedono l’avvicendamento fra primo e secondo turno di degustazione.
I relatori chiamati all’impresa di conduzione, un tridente che nemmeno quello del Brasile vincitore dei Mondiali del 1958 in Svezia, Garrincha-Vavà-Pelè: per noi si avvicendano in una perfetta intesa, Rance-Melotti-Raimondi, rispettivamente “capitani” delle delegazioni di Firenze, Bologna Modena, Livorno.
Se tali numeri si moltiplicano per tutte le parole che la mia verbosità riesce a mettere in campo, qui si fa notte, oppure giorno, a seconda dei ritmi circadiani e della tendenza al pessimismo di chi legge.
Trovare un giusto compromesso tra la dovuta brevità e la ricchezza di questa serata dedicata al Trento DOC è arduo, forse non impossibile.

Trento DOC: la visione di Giulio

A scanso di equivoci, esiste una sola possibile traduzione di Trento DOC, ovvero Spumante bianco o rosato metodo classico. Stop, solo quello.
Solo da uve trentine raccolte a mano, selezionate e vinificate secondo criteri rigorosi in una delle sei sottozone che compongono l’areale compreso nella DOC, ufficialmente riconosciuta nel 1993, ma con una storia alle spalle ben più lunga. Varietà coltivate Chardonnay, Pinot nero, Pinot bianco e, non a caso, Meunier: unica zona spumantistica italiana dove si coniuga anche il vitigno champenois.
C’era la Champagne nel destino dello spumante trentino, messo in atto da un uomo che, migrante per studio e curiosità, dopo gli studi alla Regia Scuola Agraria di San Michele all’Adige, continua la formazione alla Scuola di Viticoltura di Montpellier, indi si sposta in Renania, per approfondire ruolo e uso dei lieviti selezionati nelle vinificazioni.
Dove andare poi, se non a Epernay, per la pratica: impara le tecniche di produzione del famoso metodo classico. Vede le vigne di Chardonnay, pensa alla sua terra. Saggia l’acidità di quelle uve, così versate all’elaborazione di spumanti. Pensa alle similitudini pedoclimatiche fra quella zona e, di nuovo, quella da cui proviene lui.
Osserva, studia, pensa.
Non so che genere d’uomo fosse il Giulio Ferrari di cui si sta parlando, lo immagino uno di quei tipi che non sanno stare nella stessa posizione su una sedia per più di due minuti. Un energico ventitreenne, che arriva, impara, riparte e replica lo schema ogni volta finché non lo coglie la visione giusta, quella che mette una soglia così alta all’obiettivo da raggiungere che la sua ambiziosa inquietudine trova finalmente la quadra della vita.
Torna a Montpellier perché l’idea in nuce prende sempre più forma, più ci pensa più è reale: si rimette a studiare, stavolta la moltiplicazione delle talee e le tecniche d’innesto. Si comincia a intuire dove voglia arrivare, ma la differenza fra visione, sogno e l’applicazione nel reale sono momenti ancora distanti. Riparte, sperimenta in una terra vergine che gli dà possibilità d’errore senza disfatta: in Tunisia perfeziona le tecniche di riproduzione e impianto.
Può rientrare, e lo fa: è il primo a importare in Italia (anche se il Trentino in cui torna è ancora sotto la monarchia asburgica e quindi, austriaco) barbatelle di Chardonnay (ma non solo, anche Cabernet, Pinot nero, Meunier, vitigni renani) il primo a iniziarne il commercio, il primo a impiantarle sulle colline di Lavis, il primo a elaborare un metodo classico così come si fa in Champagne.
Sono degli anni 50 dell’800 i primi tentativi di spumantizzazione qui eseguiti, ma è solo grazie all’intuizione di Ferrari che prende fisionomia definita quello che oggi è il Trento DOC, una delle più brillanti e qualitativamente significative realtà spumantistiche italiane.

Non solo storia: la concretezza dell’oggi

Non solo sul passato si adagia l’attuale istituto Trento DOC, anzi, guarda al futuro non disperdendo la vera eredità di Giulio Ferrari: il monito a non smettere di studiare, progredire, interrogarsi su nuove strade percorribili.
Istituito nel 1984 per volere dei produttori che vi sono confluiti, ben prima del riconoscimento della DOC, compie opera non solo di informazione e propaganda, ma tutela, sorveglia, presiede tutte le fasi di elaborazioni del vino, fissando regole a salvaguardia qualitativa che sono più stringenti di quelle del disciplinare di produzione della DOC stessa.
Include 63 cantine che si spartiscono 1154 ettari, uno più, uno meno. Il 70% delle aziende private detiene meno di un ettaro: l’espressione “piccole realtà sartoriali di grande pregio” dovrebbe, in questo preciso momento, balenare nelle idee di chi legge, e a ragione.

Non solo. Il valore aggiunto delle degustazioni di stasera, per quanto mi riguarda, è l’aver degustato i vini di 4 cooperative, di cui una dedita non solo alla viticoltura, ma anche ad altre attività agricole, i cui spumanti avevano lo stesso, mi si perdoni il termine, ma trovo sia esaustivo, pedegree, la stessa ragion d’essere dei vini provenienti da cantine più di nicchia.
Ci sono molte altre Regioni in Italia dove si può affermare la stessa cosa senza tema di smentita?. La domanda è retorica, la risposta piuttosto scontata.
In tempi in cui la questione climatica è, o dovrebbe essere, ben presente nel dibattito civile, culturale e politico; dove le monoculture, comprese quella della vigna, sono sempre più spesso sotto accusa, in quanto depauperanti di un terreno, che per rigenerarsi e mantenere un corretto equilibrio ambientale, dovrebbe avere un ricambio ciclico delle colture, l’immagine di una realtà come quella trentina, dove riescono a convivere e spiccare realtà cooperative che, oltre a differenziare le coltivazioni, elaborano ottimi vini, è circostanza su cui è importante porre l’accento.

Il Territorio, unico e variegato

Partendo dal presupposto che questo spumante sia l’espressione diretta del territorio da cui proviene, sono stati portati avanti, con l’ausilio della fondazione Edmund Mach (ex Istituto Agrario di San Michele all’Adige) e di altri interlocutori istituzionali, sistematici studi e mappature dei diversi areali di coltivazione delle vigne. Si è arrivati a circoscrivere 6 principali distretti produttivi, dislocati in zone prevalentemente montane, e caratterizzati per la maggior parte da suoli ricchi di calcare e silice, ben drenati. Dal lago di Garda c’è l’afflusso del vento tiepido Ora, di cui beneficiano soprattutto i vigneti compresi nella zona della Valle dei Laghi e dell’Alto Garda. È stato dimostrato che, a prescindere dalle zone di produzione,si rintracciano in tutti i vini prodotti nell’areale Trento DOC componenti aromatiche specifiche riconducibili all’influenza della zona montana soggetta a forti escursioni termiche.

Il fìo da pagare alle serate ricche sono le narrazioni lunghe che servono per delinearle. Per i furbetti che hanno saltato a piè pari tutta la parte introduttiva per andare a leggere nelle note di degustazione quale di questi vini acquistare per i brindisi di un Natale non così lontano, ecco la giusta nemesi: c’è la premessa pure alla pletora dei 10 assaggi. Se vi piace vincere facile, non sarò certo io a spianarvi la strada…

La degustazione: istruzioni per l’uso

Piccolo focus sulle caratteristiche comuni dei vini di stasera: vendemmia e selezione sono sempre manuali, non solo nei casi in questione, ma sostanzialmente in tutte le Cantine afferenti all’Istituto Trento DOC. I vigneti sono posti ad altitudine media di 450/550 m s.l.m, con pendenze importanti, che se da una parte favoriscono l’insolazione, dall’altra rendono il lavoro di raccolta a volte piuttosto impervio (l’espressione “viticoltura eroica” trova coniugazione anche in queste zone). I suoli di matrice calcarea assicurano mineralità importanti. Restringendo il campo all’esperienza di questi 10 vini invece, l’aspetto è, in ogni caso, estremamente lucente, il colore, onnipresente, paglierino (qualche riflesso dorato qua e là verrà segnalato nei singoli casi), la mousse fine, piacevolmente serica al palato. Acidità comme il faut in ogni spumante che si rispetti.

Detto questo, penso che l’approccio migliore agli assaggi di stasera sia quello di non cercare necessariamente un filo logico che unisca un assaggio a quello successivo, una comparazione a tutti i costi, aldilà del comune terroir di provenienza. La mano del produttore, che compie scelte ben precise e di volta in volta diverse, dall’élevage dei vins clairs, all’utilizzo dei recipienti di affinamento, dal tempo di sosta sui lieviti ai dosaggi dopo la sboccatura, va a incidere profondamente sul carattere finale del vino.
E in effetti, a ben pensare, è condizione comune a tutti gli spumanti, dove la filosofia di cantina, l’intervento umano, riveste un ruolo ben più importante e caratterizzante di quanto sovente non accada per un vino fermo: più variabili in gioco su cui operare scelte differenti, per una moltiplicazione esponenziale nel carattere e nell’espressione di quello che viene raccolto in vigna.
Stasera più che mai, ognuno gioca un suo personalissimo campionato, e a noi non resta che l’interpretazione dell’unicità piuttosto che la comparazione fra i giocatori.

Balter - Balter Nature

Corre il 1872 quando in quel di Rovereto si riadatta una struttura militare a podere a mezzadria, acquistato dalla famiglia Balter, che fra alterne fortune, e due guerre mondiali, decide nel 1990 di fare il salto: da coltivatori e conferitori di uve a vignaioli a tutti gli effetti, con la costruzione di una moderna cantina interrata che coniuga, con diversi anni d’anticipo, il mestiere di chi produce vino col rispetto e la preservazione dell’ambiente circostante.
Aderenti al movimento dei Vignaioli Indipendenti, imperniano lo “Stile Balter” sul rispetto ambientale e sull’elaborazione di vini diretti, verticali, eleganti. Esemplare in tal senso il vino di stasera, Chardonnay in purezza, i cui vini base, affinati in parte in barrique, svolgono la malolattica,e quindi, assemblati, sostano 48 mesi sui lieviti, alla ricerca di una morbidezza che l’esiguo dosaggio di 1,2 gr/l non potrebbe conferire.
Ne risulta uno spumante dominato dalle note citriche al naso e da una mineralità tagliente in bocca, dove la mousse fine e persistente regala piacevolezza al palato, ripulisce, prepara al sorso successivo, dinamizzando la beva. La dominanza acida e il carattere graffiante non regalano profondità, a favore di una certa austera eleganza e immediatezza, che restituiscono un piacevole vino da entrée.

Cantina Furletti Gabriele - Trentodoc Reiff Extra Brut

Siamo a Riva del Garda, all’intersecarsi fra due climi opposti e complementari: le vigne beneficiano delle forti escursioni termiche date dai venti freddi che spirano dalle Dolomiti del Brenta e dalle brezze dolci che si innalzano dal lago di Garda. I metodi di vinificazione sono accortamente scanditi: non a caso i proprietari di questa Cantina si definiscono “artigiani del vino”.
Chardonnay in purezza, pressatura delicata a grappolo intero, fermentazione in parte in legno, sfecciatura per sedimentazione naturale, sosta sur lies per 6 mesi con regolare bâtonnage. Dopo l’assemblaggio e il tiraggio, la sosta è di 30 mesi sui lieviti. Parchi ma interventisti sul dosaggio di 4gr/l, che smorza le durezze e leviga a dovere le asperità.
L’occhio, che percepisce sporadici riflessi dorati, riporta bocca e naso su aromi dolci di susina gialla. Parte citrica percettibile ma non preponderante, per associazione d’idee più bergamotto che limone, anche grazie a una sensazione aromatica delicata e fine. In bocca una mineralità che fa rima con sapidità, non eccessivamente pieno ma dotato di armonia e persistenza, alla ricerca di un equilibrio delle parti in gioco felicemente raggiunto.

Maso Martis - Trentodoc Blanc de Blancs Brut S.A.

Azienda familiare fondata nel 1990, a Martignano, ai piedi del monte Calisio, fortemente vocata nelle pratiche di un’agricoltura rispettosa dell’ambiente. Molto e ben ponderato lavoro in vigna e pratiche di cantina essenziali: pressatura soffice a grappolo intero, sfecciatura postfermentativa, assemblaggio e conservazione in acciaio inox della cuvée fino alla primavera successiva alla vendemmia. Quindi imbottigliamento con aggiunta di lieviti selezionati, con sosta di 18/21 mesi. Alla sboccatura c’è l’apporto di 6 gr/l di zuccheri.
Vino meno “pensato” dei precedenti, dimostra il minor affinamento tramite un bouquet non esplosivo ma in compenso molto fine. Colpisce una netta nota floreale dolce, gelsomino e fiori d’acacia. L’agrume, nelle molteplici forme sotto cui si presenterà stasera, è presente ma vestito di lieve canditura.
Piacevole la dinamica del sorso, il fin di bocca è poco persistente ma preciso il richiamo in retrolfattiva dei sentori già apprezzati in olfazione diretta. La cifra di questo spumante sta tutta nella suadente e soffusa discrezione che carezza tutti i sensi senza risultare esplosiva…in media stat virtus, o sbaglio?

De Vigili - Trentodoc ART brut 36 mesi

Due ettari e mezzo di vigneto a Mezzolombardo, rimasti sempre in mano alla stessa famiglia. Cantina attiva fin dal 1800, dopo la Grande Guerra e un periodo di crisi dove parte dei terreni erano stati ceduti, il capostipite Ottaviano tira nuovamente le fila, ricompra, affina le tecniche di coltivazione e vinificazione. Da lì in poi tutto prosegue fino al 2015 fino a quando il pronipote Francesco tira le fila della storia, amplia con l’acquisto di ulteriori 2 ettari, e rilancia. Tecniche ecologicamente corrette in campo ed esposizioni d’arte in cantina: il fine ultimo è rendere l’armonia fra visione artisitica e produttiva, tramite l’adesione al movimento dei Vignaioli Indipendenti e la promozione di una visione estetica anche nel mondo vinicolo. Etica ed estetica come filosofia aziendale.
Certamente è stata raggiunta una certa armonia nel bicchiere, anche se non è ben dato sapere come: la sosta di 36 mesi sui lieviti è la sola informazione di cui l’azienda mette a parte. La circostanza che si tratti di un brut fissa il dosaggio come inferiore a 12 gr/l (ad assaggio e sentimento direi che si attesta sui 9gr/l, ma coi numeri in genere ho una diatriba aperta da tempo).
Discreta scansione di aromi al naso, dalla mela golden e nespola appena raccolte alle note più amare dell’albedo, si arriva fino ad un accenni di lievito e panificazione. Fresco ma non tagliente, piacevole nella dinamica fra naso e bocca, dove la cremosità della mousse dona estrema piacevolezza. Media la persistenza, buona l’integrazione fra le varie componenti.

Cantina Isera - Trento Doc Isera 907 Dosaggio Zero 2018

Eccola, la prima realtà cooperativa, fondata nel 1907 e dedita esclusivamente alla vinificazione dei 20000 quintali di uve conferiti ogni anno dagli oltre 150 soci, che coltivano e raccolgono su circa di 200 ettari di vigneti posti nell'Alta Valle d’Isera. Non solo Trento DOC, la cui prima vendemmia si attesta nel 2004 (come per tutte le altre realtà cooperative presenti in degustazione, il numero di ettari dedicati alla produzione di Trento DOC è, ovviamente, solo una parte di quelli effettivamenti coltivati, su cui vengono impiantate anche altre varietà): ricavato da uve Chardonnay in purezza che, dopo la pressatura soffice, fermentano parte in acciaio, parte in botte grande. Svolta parzialmente la malolattica, riposa sui lieviti per 6 mesi prima dell’assemblaggio e la rifermentazione in bottiglia. Sosta sui lieviti per 40 mesi e dosaggio di 1gr/l a rendere la massima espressione di tutto il lavoro svolto: la malolattica arrotonda, toglie le asperità e la necessità di aggiunta di liqueur.
Vivi riflessi dorati, al naso arriva il fiore d’acacia, e le note agrumate, sia sotto forma di scorza di limone che di (timido) fiore di zagara. il bouquet è soffusamente dolce, per la prima volta la scansione olfattiva arriva fino ai sentori della piccola pasticceria. Forse è autosuggestione, ma per associazione d’idee sono andata a Proust e alle sue madeleines, dolcetti soffici caratterizzati dalla fragranza delle zeste di limone. Del resto, opinabili o meno, gli automatismi mentali non si controllano e i miei…vabbè lasciamo perdere.
C’è un evidente passo avanti anche nel volume del vino in bocca, che dinamicamente entra, si estende, scompare, lasciando intatti in retrolfattiva i richiami aromatici precedentemente percepiti. Buona la persistenza, che non ha bisogno di essere eccessiva: la tentazione del secondo sorso è subito dietro l’angolo.

Altemasi - Trentodoc 2018

Undici Cantine Sociali confluiscono in questo Consorzio, che si pone come obiettivo la ricerca della sostenibilità ambientale applicata anche ai grandi numeri: 5250 coltivatori per 6000 ettari complessivi di vigneto. I soci aderenti sono supportati e formati (anche grazie alle numerose collaborazioni con l’Istituto Edmund Mach), per valorizzare il potenziale dei vigneti, che per altitudini, pendenze e peculiarità climatiche possono rivelarsi ostici da condurre.
Di nuovo, si esprime lo Chardonnay in purezza: dopo la vinificazione in bianco a temperatura controllata, i vini fermentano parte in acciaio, parte in barrique. La malolattica viene svolta (e in questo particolare caso, mortifica un po’ la verve del prodotto finale). La presa di spuma avviene in primavera, segue un periodo di affinamento sui lieviti di 30/36 mesi.
I riflessi verdolini fanno presagire un’acidità alla fine non eccessivamente sferzante. Il naso è piuttosto soffuso, bilanciato fra le note dolci di gelsomino e quelle agre del calamansi. In retrolfattiva c’è un depauperamento delle sensazioni aromatiche e in bocca manca in certa misura di tensione. Meno scalpitante di quanto ci si attendesse, vino bidimensionale, corretto negli equilibri, di media persistenza aromatica.

Villa Corniole - Salisa Dosage Zero 2017

Siamo in Val di Cembra, la sottozona più estrema per pendenze ed asperità dei paesaggi, da cui derivano spumanti fortemente identitari della ruralità montana. Il capostipite Remo fonda nel 1948 la Cantina Sociale del luogo, cui conferisce le uve coltivate. Passa molta acqua sotto i ponti, l’esperienza si affina e consolida, fino al 1998, quando, per idea e mano del figlio Onorio, parte il progetto imprenditoriale privato, che vede la costruzione di una nuova cantina, l’acquisto di ulteriori terreni (anche nella Piana Rotaliana), l’entrata in scena della terza generazione che prosegue l’attività con spirito e impegno immutati.
È del 2009 il primo tiraggio destinato alla produzione di un Trento DOC: per scelta aziendale, si elaborano solo millesimati.
Molto è taciuto sulle tecniche d’elevaggio e produzione di questo Chardonnay in purezza che sosta 40 mesi sur lies prima della sboccatura, effettuata senza liqueur aggiunta. Svolta la malolattica nei vini base.
Evoluzione negli aromi che partono da fiori ginestra e mela renetta, passano dalle note citriche del pompelmo giallo, e arrivano alla frutta secca, alla crosta di pane. Fragrante anche in retrolfattiva dove la lieve tostatura della frutta secca, nocciola e anacardo, guadagna la scena.
Netta, piacevole la dinamica di bocca. Ottimo volume che regala avvolgenza evitando la pesantezza. Struttura ed eleganza che convivono in felice equilibrio.

Pedrotti - Trentodoc Brut 2017

Realtà fondata nel 1901 dal capostipite Emanuele, oggi vede impegnata nella conduzione la quarta generazione, impersonata dalle due sorelle Donatella e Chiara. Il centro di tutto è un piccolo centro di origine medievale, Nomi, nella Vallagarina, areale di congiunzione fra pianura e montagna. Il focus esclusivo è sull’elaborazione di spumanti Trento DOC.
Anche in questo caso, si tace sulla prima parte di elaborazione, e si dichiara la sosta sui lieviti di 48/50 mesi e il dosaggio di 6gr/l. Ricetta parziale, ma vincente in fatto d’equilibrio, potenza e godibilità di fruizione.
Entra in gioco un comprimario finora assente, il Pinot nero (10%) ad affiancare lo Chardonnay. Presenza non copiosa ma percettibile, già dal colore , oro piuttosto pieno (aiutato certo, anche dal lungo affinamento), ma, soprattutto, nelle componenti aromatiche. La mela cotogna si affianca a note più esotiche di ananas, kumquat e zenzero canditi. Accenni burrosi di panbrioche caldo. Particolarmente piacevoli le sensazioni tattili, ampio e serico in bocca , è il campione di persistenza aromatica della serata. La riprova, caso mai qualcuno ne sentisse la necessità: questa è zona, storica di elaborazione di grandissimi metodo classico.

Agraria Riva del Garda - Brezza Riva Riserva Pas dosé 2016

Istituita nel 1926 come Associazione Agraria, con l’intento di promuovere e sostenere l’agricoltura nell’Alto Garda, vede la nascita della Cantina nel 1957 e quella del Frantoio nel 1965. Nel 2000, la fondazione della Società cooperativa. Ad oggi consta di 300 soci, tutti imprenditori agricoli, che conferiscono 33000 quintali di uve. Affiancate e ugualmente valorizzate le attività di cantina e frantoio.
Gli interventi chimici in campo sono minimi e seguono i dettami dell’agricoltura biologica, la raccolta viene eseguita in leggero anticipo per preservare l’acidità delle uve, impiantate secondo la tradizionale forma d’allevamento della pergola trentina. La fermentazione affidata all’acciaio e in piccola parte (15%) in barrique. Tiraggio nella primavera successiva alla vendemmia, sosta di 36 mesi sui lieviti, dosaggio ai limiti del Nature, di 2,5 g/l.
I fiori di sambuco e la mela renetta sono latori di note dolci, la parte citrica vira verso il lemongrass: l’ampiezza aromatica non è eccessiva ma gli aromi posseggono finezza. Verticale e asciutto il sorso, buona la mineralità “rocciosa”. Straniante il fin di bocca dove non ci si aspetta la nota ammandorlata che, anche in retrolfattiva, domina annientando la precedente percezione dolcemente fruttata.

Cantina Mori Colli Zugna - “Morus dal 1957” Trento Doc Brut 2016

Grande Cantina Sociale, ad oggi consta di 600 soci che si occupano dei 700 ettari vitati, dislocati in diverse microzone: dalla Valle dell’Adige fino alle pendici del monte Baldo. Nel 2011 viene completata la costruzione della grande cantina ipogea sul cui tetto sono state impiantate, in collaborazione con l’Istituto Edmund Mach, 6000 viti selezionate al fine di creare una varietà resistente alle crittograme.
Torna, come filo conduttore di tutta la serata, l’attenzione alla preservazione ambientale unito al forte richiamo identitario dei vini prodotti. Chardonnay e Pinot nero, coltivati sulle pendici del monte Baldo, in rapporto di 70:30, vengono sottoposti a pressatura soffice; durante la fermentazione si favorisce lo svoglimento della malolattica, quindi l’affinamento in tini di legno. La sosta sui lieviti dopo il tiraggio è di 36 mesi.
Riflessi brillanti d’oro alla vista, il naso è solleticato da una mineralità rocciosa e da note citriche di limone e ginger canditi. Lieve tostatura nocciolata. Ci si spinge fino ai lievitati dolci e al burro di cacao.
Caldo e corposo, buono l’ equilibrio con le parti sapide e minerali ben presenti. Retrolfattiva integra e coerente con quanto anticipato al naso, finale di bocca pulito e mediamente persistente.

Finisce qui il viaggio che lascia, non solo metaforicamente, lievemente ebbri e certamente entusiasti di aver scoperto l’integrità di un territorio riflessa nei bicchieri serviti stasera.
Nota di merito ai sommelier di eterogenea provenienza dalle delegazioni coinvolte nella degustazione, che hanno avuto un bel daffare nel districarsi nella stappatura e servizio dei 10 spumanti in una sala strapiena. Perfette le temperature di servizio, perfetto il coordinamento nei gesti e nei tempi, tutto svolto sotto l’egida attenta di Manila Senatori. Se esiste un paradiso dei Giusti, stasera ve lo siete guadagnati, ragazzi.

La morale tratta da una serata così ricca e arricchente, risiede nella splendida visione del futuro di un terroir anticamente vocato, che ha saputo, nel tempo, progredire e migliorarsi, con impegno, costanza, e senso d’unione. È da queste premesse che nasce l’Istituto Trento DOC e tutte le innumerevoli attività e iniziative che vi ruotano intorno. Da Giulio Ferrari ad oggi non si è mai spezzato il fil rouge che lega territori e uomini restituendoci il senso più elevato del termine civiltà.

E la morale, doppia e minore, tratta da quest’articolo è che, forse, è stata una mossa sbagliata affidarne a me la redazione: del resto ho la coscienza pulita, ho messo le mani avanti circa le mie tendenze, e non ho mai promesso di finire in breve. O l’ho fatto?.
Non so, ma pretenderete mica che ricominci a leggere dall’inizio per appurare una tale quisquilia?.

Valentina Pizzino
Valentina Pizzino

Nata a Firenze da una famiglia di astemi, non ha mai dubitato che nelle sue vene scorresse Chianti Classico. Lavora fra i libri, ma gli scaffali che preferisce sono quelli delle enoteche. Il suo centro di gravità permanente è sempre ruotato attorno a una bottiglia.

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