Piccolo (e alto) mondo antico: Il Sangiovese in punta di piedi del Chianti Rufina
Un viaggio a ritroso nel Chianti Rufina con Leonardo Romanelli e le sue Delizie a Villa Olmi.
Sia chiaro, nessun lacrimoso rimando ai lacustri drammi familiari del capolavoro di Fogazzaro. È che l’eufonia del titolo si allea fluidamente ad una sintesi che ben si attaglia alle caratteristiche del territorio in questione, tema dell’appuntamento di novembre delle Delizie di Leonardo.
Come di consueto, i nostri sommelier di Fisar Firenze hanno affiancato il "padrone di casa" nelle sue proposte di approfondimento dei vini toscani.
La più piccola tra le sottozone del Chianti; quella più a nord, con la media altimetrica più elevata e le temperature più fresche; la più antica, perché riconosciuta come una delle migliori quattro della Toscana già nel 1716, con l’editto di Cosimo III; con vini diversi per profumi e una certa ritrosia rispetto agli altri Chianti, in cui il Sangiovese parla con voce più stentorea, tanto che Romanelli ricorda un’arguta provocazione di Luigi Veronelli, che propose di togliere “Chianti” e lasciare solo “Rufina”; zona diversa non solo per sostanza di vini, ma anche per persone e paesaggi, molto meno toccati dai flussi di turisti internazionali a caccia di cartoline toscane e di artigiani radical chic; e soprattutto terra di vini longevi, in grado di sfidare le ingiurie del tempo, come hanno dimostrato le bottiglie aperte nel corso della serata, oggetto di una verticale a picco, dai giorni (quasi) nostri della vendemmia 2016, giù giù fino ad un’annata lontana ma che sembra remotissima, il 1995, quando social era il prefisso di un partito politico e le influencer erano le adolescenti in fiore di “Non è la Rai”.
Secondo tradizione ormai consolidata, il nostro anfitrione gioca la cifra tonda dei 10 esemplari, in modo che la visione generale sia la più ampia possibile (non a caso i dieci calici disposti sul tavolo formano giusto un angolo di 180°…).
Un territorio circoscritto (neanche 1000 gli ettari vitati), ma predisposto a segmentarsi in ulteriori sottozone: a nord est l’Alta Val di Sieve con Dicomano e Colognole, più a sud la valle Centrale, che comprende Rufina e Pontassieve; ad ovest la conca che guarda l’Arno e che include Santa Brigida, Doccia e Molin del Piano e infine la porzione ad est e sud est con i territori di Pomino e Pelago. Suoli prevalentemente composti da calcare, galestro, alberese, esposizioni sud sud-ovest e microclima con escursioni termiche ottimali, a garanzia di freschezza e aromaticità.
Dunque diversi i comuni in cui si trovano i vigneti dei produttori presenti stasera; Rufina, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è il dominante, e divide la produzione con Dicomano, Pelago e Pontassieve, quest’ultimo il più rappresentato.
I Vini
Il primo vino è l’annata 2016 de I Veroni Riserva Quona, dall’omonimo vigneto popolato da piante di 25 anni. Nel comune di Pontassieve, a 300 mt slm, esposizione sud sud-ovest, in conduzione bio. Sangiovese in purezza fermentato con lieviti autoctoni in cemento e tini tronco-conici in rovere, in legno la malolattica e maturazione in tonneaux di rovere francese per 18 mesi, seguiti da ulteriore affinamento in bottiglia per 12 mesi circa. Immediata al naso la percezione del frutto integro nella sua fresca maturità (ciliegia e frutti di bosco), che in seguito lascerà affiorare un accenno ematico. Attacco di bocca con tannini serrati e corpo sostanzioso, premesse per un cammino ancora lungo. Il colore è un palinsesto di rubino con porpora in sottotraccia, molto brillante e se per un 2016 non c’è da stupirsi, ci stupiremo invece più avanti, perché tranne una o due eccezioni, lo ritroveremo così vivido anche in annate ben più distanti.
A ritroso nel 2015 con la Riserva il Pozzo di Podere il Pozzo. Siamo a Rufina, a 300 mt sopra il paese. Sangiovese che torna alla tradizione (neanche il vino sfugge ai cicli e ricicli storici), accompagnato da Colorino, Canaiolo e Trebbiano, provenienti dalla vigna più vecchia; vinificazione in acciaio e maturazione sempre in acciaio per circa 4 mesi, fermentazione malolattica e infine in botti grandi per l’affinamento di 12 mesi. I frutti rossi di bosco si accompagnano a prugne e more, il corpo è più snello del vino precedente ed il tannino, di grande persistenza, ha un grip meno aggressivo e si è accordato con la freschezza.
Dalla parte più alta della denominazione (tra Dicomano e Londa) arriva il vino della Tenuta di Frascole: Frascole Riserva 2013. Biologica dal 1999, la tenuta poggia su terreni di marne e argille, altitudine media 400 mt slm e la maturazione delle uve rispetto a quelle dei colleghi produttori qui avviene con un ritardo di almeno una settimana. Il vino è Sangiovese con un 5% di Colorino. Fermentazione in tini tronco-conici di rovere per il Sangiovese e in tonneaux aperti per il Colorino, segue passaggio in barrique e tonneaux per la malolattica e per un’ulteriore sosta di 12 mesi; assemblaggio in cemento e almeno un anno di bottiglia prima dell’uscita. Ancora rubino senza sospetti granato, naso di frutta molto matura, si affacciano note evolute di liquirizia e tabacco; in bocca entra con un tannino disteso accompagnato dalla percezione sapida, notevole la leggerezza di beva.
Villa Travignoli si trova sulle colline di Pelago, affacciate sulla valle dell’Arno. Assaggiamo il Tegolaia 2012, in formato magnum. Esposizione sud e massima altitudine tra i vigneti aziendali per questa parcella, da cui proviene l’uvaggio di Sangiovese al 90% con saldo di Merlot e Cabernet Sauvignon; fermentato in acciaio, dove svolge anche la malolattica, passa infine nelle botti di rovere, a maturare per circa 20 mesi. La frutta diventa confettura, a cui si accodano note di cuoio e di spezie dolci. Molto morbido l’attacco, eppure freschezza e sapidità non ne sono penalizzate, come non lo è il tannino, che arriva con decisione poco dopo ad affermare la completezza gustativa.
Fattoria Lavacchio, articolata realtà biologica a metà strada tra Rufina e le Sieci, propone il suo Ludiè 2011: 100% Sangiovese da una vigna di oltre cinquant’anni. Fermentazione e macerazione a temperatura controllata con molti rimontaggi e délestages, maturazione e malolattica in barrique nuove per circa 24 mesi e ulteriore affinamento in bottiglia per 18 mesi. Le note di vaniglia e spezie dolci rimandano al legno di primo passaggio, il frutto si fa più dolce. Impatto tattile e gustativo consistente, ma equilibrato dalla consueta freschezza rufinese e da un tannino molto levigato. Dimenticavo, il colore è ancora un rubino intenso e vivo, dopo nove anni…
Dalla storica tenuta dei Marchesi Gondi, il Villa Bossi 2009 proviene dalla vigna denominata Poggio Diamante (300 mt slm): intenso il rubino e un’unghia con accenno di riflessi granati, sfumatura che troveremo da qui in avanti. More e ciliegie mature, liquirizia e ricordi balsamici di erbe officinali, note di tostatura e cacao che anticipano un sorso sorprendentemente succoso, fresco e con tannino ben integrato, facilità e piacevolezza di beva pur in presenza di struttura e carattere.
Arriviamo, con il Bucerchiale (qui il 2006), al vino emblema di Fattoria Selvapiana: concepito fin dalla prima vendemmia per l’invecchiamento e come espressione dei vigneti aziendali (bio), a circa 250 mt slm, Il Bucerchiale è l’unico vigneto della Fattoria con esposizione sud sud-ovest. Il Sangiovese viene vinificato in acciaio termoregolato e fermentato con lieviti indigeni, sottoposto a frequenti rimontaggi ed affinato per 15 mesi in barrique di rovere francese, solo in piccola parte di primo passaggio. Buccia di arance rosse, mentolo, mora e ribes, finezza di sottobosco: grande la facilità di beva per un risultato in cui tutti gli elementi si accordano tra loro senza alcuna stonatura.
La seconda magnum della serata è la Riserva del Don 2004 di Colognole, da un cru aziendale posto in uno dei punti più alti dell’antica e vasta tenuta, caratterizzata da una grande varietà di parcelle; processo di vinificazione e affinamento per i quali non è stato impiegato legno. Al naso subito le note di fiori appassiti e a seguire frutti rossi, erbe aromatiche delicate, bacche di mirto, tabacco. Struttura presente ma non tracotante, tannino di grande eleganza e bocca freschissima che invita al sorso successivo.
La Fattoria di Grignano, nel comune di Pontassieve, produce il Poggio Gualtieri (degustiamo il 2000) dalle vigne più elevate e più vecchie di questa tenuta a conduzione biologica. Sangiovese per il 90 % e la restante parte Canaiolo, vinificati in acciaio, con malolattica in botti grandi e barrique, seguita da maturazione anch’essa gestita con i due tipi di legno. Confettura di mora e prugna, ma anche lampone, richiami alle erbe officinali e alla china. Attacco delicato che rivela in seguito struttura, alcolicità e morbidezza, coniugate ad un tannino leggero che emerge nel lungo finale.
Conclusione con Castello Nipozzano Montesodi 1995 di Marchesi Frescobaldi. Il nome Montesodi rimanda alla struttura sassosa dei suoli di questa vigna, diventata nel 1974 il primo cru del Chianti Rufina, a 350 mt slm. La frutta, dopo due decadi e mezzo, ci si aspetta che sia decisamente sotto spirito e in questo caso è accompagnata dai profumi della lunghissima evoluzione in bottiglia, come cuoio, foglie di tabacco, china, e da un tannino che ha deposto le armi un tempo affilate per abbandonarsi all’impalpabile leggerezza della maturità.
A metà percorso il consueto break gastronomico – campanella della ricreazione che spezza la lunga maratona degustativa – è stato affidato a Stefano Frassineti del ristorante Toscani da sempre di Pontassieve, che ci ha proposto il suo crostino con animelle e bardiccio: trattasi di una deliziosa specialità poco conosciuta, un insaccato fatto con le parti più povere del maiale, in questo caso impiegato per insaporire l’impasto del pane fatto in casa. Durante la cena a buffet è stato possibile riassaggiare i vini appena degustati e provare le annate più recenti degli ultimi in ordine di apparizione, oltre ad altre referenze davvero interessanti portate dai produttori.
Con la parziale eccezione dell'ultimo vino degustato, Rufina dimostra che la sfida del tempo la vince eccome, e con onore.
Continua ad emergere ad ogni assaggio la freschezza snella e profumata di questo territorio, lembo di una Toscana enologica più umbratile e discreta rispetto all’irruenza nota ed apprezzata di altre latitudini regionali.
Dubbi però non ce ne sono: è piccolo, ma di lunga vita ed incredibilmente affascinante il mondo antico del Chianti Rufina.