15 giugno 2022

Il bello e difficile di nascere a sud del mito: lo Chardonnay del Mâconnais

Il bello e difficile di nascere a sud del mito:  lo Chardonnay del Mâconnais

Alla scoperta con Giovanni D’Alessandro, di un terroir poco conosciuto, con un cuore che batte per lo Chardonnay

Ci sono circostanze nella vita, difficilmente inquadrabili, se non alzando le braccia in segno di resa a un destino che poteva mostrarsi più benevolo.
Penso alla sorella carina di Beyoncé, Solange, mandata in analisi fin dalla più tenera età per superare il senso d’inferiorità verso la famosa, bella e celebratissima sorella. Che poi, superato o meno il mesto stato emotivo (tacciono le cronache su questo), chi alla fine non conosce Beyoncé, e chi invece conosce a apprezza la mite Solange?. Comprendo come la storia dai tratti intimistici possa a questo punto aver coinvolto molti lettori, cui lascio l’onere dell’approfondimento, se vorranno. A me preme sottolineare il parallelismo, riportando la narrazione su temi enologici a noi consueti.

Perché le caratteristiche del figlio poco valorizzato il Mâconnais le ha incarnate per molti anni. Figliastro, se comparato alla grandezza della vicina Chablis: uniti nell’elezione dello Chardonnay a vitigno feticcio, divisi da suoli, tecniche di vinificazione e culture profondamente diverse. Una, terroir iconico di grandi bianchi, l’altro quasi misconosciuto dai più.

Recente è lo sdoganamento di questo terroir vinicolo all’estremo sud della Borgogna, adombrato, metaforicamente e non, dalle prestigiose denominazioni della Cȏte d’Or; le quali, del resto, nel tempo non hanno disdegnato l’acquisto di uve da questa zona, per integrare, laddove permesso, le proprie produzioni. In tempi in cui il cambiamento climatico non destava preoccupazione, qui la maturazione ottimale era garantita da un clima meno rude di quello delle zone a nord, con inverni tendenzialmente meno rigidi e buona insolazione durante tutto l’anno. Queste circostanze si traducevano in uve, soprattutto per quanto riguarda lo Chardonnay, particolarmente ricche, zuccherine ed esuberanti.

La storia di una viticoltura longeva, e lo zampino, il solito, dei monaci

È pur vero che, nonostante il riconoscimento ufficiale, e l’apprezzamento di un vasto pubblico, siano piuttosto recenti, in questa zona, il vino è sempre stato fatto, senz’alcuna necessità di pedigree: già i Burgundi, prima dell’assimilazione dei Romani nel 413 d.C. coltivavano la vite producendo vino.

La spinta, decisiva, verso una viticoltura organizzata, ragionata e qualitativamente orientata, viene però data, anche qui, come in molte altre zone, dai monaci delle vicine Abbazie di Cluny e Tournus: nei tempi agitati da numerose guerre interne, fra Alto e Basso Medioevo, le Abbazie sono enclave di pace riparate dai tumulti esterni, dove i monaci si dedicano allo studio e sviluppo di nuove tecniche d’allevamento e vinificazione.

Si procede per la prima volta ad una classificazione dei vigneti usando la discriminante qualitativa, e introducendo il concetto di Cru, che va ad identificare le zone in cui le vigne hanno caratteristiche precipue.
Il primo momento di gloria è attestato nel 1660, quando il viticoltore Claude Brosse riesce a far pervenire a Versailles, all’attenzione di Luigi XIV, Le roi soleil, una partita di vino: il re apprezza a tal punto che da quel momento la corte sarà regolarmente rifornita dei vini di Mâcon.

Chardonnay & co., le denominazioni e quanto ancora sia tutto in evoluzione

Quando si accostano i termini Mȃconnais e vitigno è allo Chardonnay che ci si riferisce: domina incontrastato, coltivato nell’85% della superficie vitata. Nella parte sud ovest della regione, ricca di terreni granitici, trova spazio anche la coltivazione di Gamay. Completano il quadro piccole percentuali di Aligoté, Pinot bianco e Pinot noir.

Tre i livelli qualitativi stabiliti per denominazione: Mâcon, la più generica e diffusa, copre 1900 ha vitati. A questa è consentita l’aggiunta del nome di 26 comuni, caratterizzati da terroir molto vocati, per le versioni superiori sia bianche che rosse. Riservata esclusivamente ai bianchi da Chardonnay è la denominazione Mâcon Villages: 1400 gli ha coinvolti, le uve possono provenire da due o più appezzamenti siti in diversi borghi.

I cinque comuni di Pouilly-Fuissé, Pouilly-Loché, Pouilly-Vinzelles, Saint-Véran e Viré-Clessé sono classificati come denominazioni indipendenti. È la zona di Pouilly-Fuissé, considerata la più interessante qualitativamente parlando, che ha raggiunto nel 2020 un importantissimo traguardo: prima zona del Mâconnais ad ottenere il riconoscimento come Premier Cru per 22 climats. Va riconosciuto che il merito di questi progressi va ricondotto ad una schiera di uomini e donne che hanno fortemente creduto alle potenzialità di questo territorio: Frédéric Marc Burrier, ​​Presidente dell’Associazione Produttori di Pouilly-Fuissé, si è battuto intensamente lungo i suoi 17 anni di mandato per correggere un grosso errore storico: le classificazioni, introdotte in Borgogna tra il 1938 e il 1943, non hanno infatti riguardato il Mȃconnais, zona presidiata dagli invasori tedeschi, dove i vignerons erano impegnati nella Resistenza attiva piuttosto che nella mappatura dei terroir e nella conseguente rivendicazione di uno status.

La vicina Saint-Véran sta percorrendo lo stesso iter di mappatura e identificazione delle zone più vocate per raggiungere un’analoga legittimazione.
È storia recente la successione di Burrier, che ha ceduto il passo ad una giovane ed entusiasta produttrice, Aurélie Cheveau che, dal canto suo, ha già promesso battaglia per dare sempre più lustro alla denominazione Pouilly-Fuissé, e, per estensione, al Mȃconnais tutto.
Va da sé che queste iniziative, se da una parte sanciscono ufficialmente il pregio di questa regione, troppo a lungo rimasta nell’ombra, dall’altro influiscono sulle quotazioni di mercato dei vini qui prodotti. Se storicamente il rapporto qualità-prezzo era tutto appannaggio di una piccola falange di estimatori e consumatori attenti, ad oggi i prezzi conoscono un’impennata verso l’alto che progressivamente riquantifica il concetto del giusto esborso: riconoscendo ai vignerons il giusto valore al lavoro svolto, ma anche vedendo incrementare le quotazioni di una zona borgognona ancora abbordabile da un’ampia fascia di consumatori (e che tutti speriamo resti a lungo così!).

La Degustazione

Dopo tanto discorrere di questa Cenerentola borgognona, che ormai, invero, pare tale solo su carta, perché tradizione, storia e carattere non sembrano certo mancare da queste parti, vediamo se nei fatti il calice mantiene premesse e promesse.

Domaine Perraud - Mâcon-Villages 2020

Vigne distribuite fra 5 diversi comuni, con base a La Roche-Vineuse, Jean-Christophe Perraud, riprendendo il controllo di vigne familiari, fonda l’azienda nel 2005. Ampia la gamma di vini elaborati, proprio in virtù della varietà di parcelle a disposizione.

Rappresenta il bianco d’ingresso questo Mâcon-Villages ottenuto dall’assemblaggio di vinificazioni parcellari singole. Fermentazione in acciaio, malolattica svolta e sosta sulle fecce fini dai 6 agli 8 mesi, filtrazione leggera prima dell’imbottigliamento, pochi ed essenziali i trattamenti per mantenere il più possibile l’integrità di questo Chardonnay.

Piuttosto verticale, immediato, fa perno su una mineralità di matrice calcarea, cui si affiancano al naso aromi tenui di fiori di sambuco e pompelmo giallo. Diretto, fresco, ha qualche spigolo in bocca che non inficia la gradevolezza del sorso.

Non infinita la persistenza aromatica, non esplosivo il ventaglio di sentori, per un vino che non ricerca l’opulenza, ma strizza l’occhio all’abbinamento gastronomico. Tradotto: il mio mestiere non è mostrare i muscoli, ma stare in tavola in allegra compagnia. E ci riesce benissimo.

Les Héritiers du Comte Lafon - Viré-Clessé 2020

Se la storia recente dei vini di Mâcon avesse un nome, questo sarebbe Dominique Lafon.
Nato con la camicia il nostro eroe, perché erede di una ricca dinastia del vino proveniente dai terroir blasonati di Mersault. Un irrequieto col dono della visione, che invece di restare all’ombra fresca e rassicurante dei vitigni della Cȏte d’Or, nel 1999 decide di investire nel Mâconnais, e farlo in grande: acquista 26 ha di viti, con l’intento di dedicare tutto sé stesso allo Chardonnay, ed è il primo ad accendere un faro su questa regione finora poco compresa dalle rotte dei grandi vini.

Parte da Milly-Lamartine, compra appezzamenti qua e là, alla ricerca di una importante caratterialità che intuisce, coltiva da subito in regime di agricoltura biologica, trasferisce in una nuova realtà lo stile verticale ed elegante dei vini della Cȏte d’Or. Ragiona un terroir alla volta Dominique, da vero borgognone: perché vuole raccontarci il temperamento di ognuno preso singolarmente, e lo fa come pochi altri, attraverso una teoria di vini totalmente peculiari e rappresentativi di una certa zona.

Porta il blasone in una zona finora essenzialmente agricola: per una volta, è un nobile che compie la rivoluzione. Portabandiera del Mâconnais, questo Viré-Clessé svolge fermentazione alcolica e malolattica in botti piccole e medie non nuove e affinamento in grandi botti da 45 hl e in demi-muids da 500 l. Chiaro l’intento di ricerca di avvolgenza e una certa struttura.

Aromi ben marcati di pompelmo, frutta a polpa bianca, note più dolci di scorze candite. Sentori fumé e di mandorla tostata. Avvolgente, caldo ma retto da un’ottima spalla acida, salino, lungo in bocca. Lascia un solo rimpianto in chi lo degusta stasera: il non aver aspettato un poco più tempo per stapparlo, in attesa di un’evoluzione che avrebbe potuto regalare altre e maggiori soddisfazioni.

La Soufrandière - Pouilly-Vinzelles 2020

Altra storia di famiglia. Di due fratelli stavolta, che riprendono in mano la proprietà acquistata nel 1947 dal nonno, a Vinzelles.

Zona, al tempo, di agricoltori, il Mâconnais, non di vignerons. Chi coltiva le uve poi le conferisce alla cooperativa: non è redditizio vinificare e imbottigliare in proprio. Gli anni intorno al 2000, ormai l’abbiamo capito, sono quelli della svolta epocale: Jean-Philippe e Jean-Guillaume Bret rifondano un’azienda sull’eredità avìta. Riprendono in mano tutte le fasi della produzione, si espandono, pensano in grande: due teste reggono due linee di produzione, parallele, complementari e diverse. Fondano due realtà: da una parte la Bret Brothers, che trasforma uve acquistate fra Mâconnais e Beaujolais, producendo vini per una fascia di consumatori attenti sia alla qualità che al prezzo. Dall’altra la Soufrandière, che produce e vinifica solo uve aziendali coltivate in regime biodinamico: cuvée parcellari per una produzione d’eccellenza annuale inferiore alle 60.000 bottiglie.

Questo Pouilly-Vinzelles denuncia una certa immaturità che gli rende il merito di una prodigiosa longevità futura.
​Ottenuto da vigne dai 35 ai 50 anni, ​​vendemmia manuale, pigiatura a grappolo intero, 70% vinificato e affinato per 11 mesi in tini di acciaio inox e 30% in botti da 228 litri, patisce una certa timidezza aromatica, che non va a intaccare la finezza dei sentori floreali e agrumati. Si fa strada una nota più pungente di pepe bianco. Acidità scalpitante, corpo pieno e grintoso, dinamico nel sorso, sapido.

Apprezzabile sin da ora, ammalia al primo sorso, in una splendente gioventù precorritrice di una radiosa maturità che avrà da raccontare ben altre storie.

Domaine Perraud - Saint-Véran 2019

Ripartiamo dall’inizio, da La Roche-Vineuse e dal sogno concretizzato di un ragazzo di 24 anni, che da allora di strada, e vini, ne ha fatti.

Il Saint-Véran, da vigneti che si trovano principalmente nel comune di Prissé su terreni di matrice marcatamente argilloso-calcarea, viene fatto fermentare ed elevato in acciaio con controllo della temperatura.

L’annata calda ha portato ad una maturazione delle uve ben rappresentata nel bicchiere. Riflessi vividi oro intenso per un vino pieno e glicerico. Sia al naso che in retrolfattiva note di fiori d’acacia, pomelo dolce, miele biondo. Colpisce l’acidità ancora ben presente, che ha il merito di equilibrare e dinamizzare il sorso.

Espressivo e allo stesso tempo didascalico di quello che comunemente viene identificato come uno Chardonnay del Mâconnais.

Château de Rontets - Pouilly-Fuissé “Pierrefolle” 2019

Merito di Giovanni D’Alessandro che ha selezionato i vini da presentare in questa degustazione, quello di aver accostato realtà grandi e prestigiose ad altre più piccole e sartoriali: espressioni diverse e ugualmente valide della stessa realtà vitivinicola. Château de Rontets, a dispetto del nome piuttosto altisonante, è una piccola realtà di 3,6 ha intorno al lieu-dit Les Rontets a cui si aggiungono due parcelle, di mezzo ettaro ciascuna, nel lieu-dit Pierrefolle e nel lieu-dit Côte de Besset, nel territorio comunale di Saint-Amour. Ammetto che mi sta particolarmente a cuore, per averla visitata di persona e aver conosciuto la deliziosa ospitalità italo-francese di Fabio e Claire, due architetti che negli anni ‘90 decidono, dopo aver unito le proprie vite professionali e personali, di cambiare tutto: nel 1994 nasce il primo figlio, nel 1995 rilevano l’azienda vinicola, nel 1996 arriva la seconda figlia. E il cerchio si chiude intorno a una storia d’amore e di vino che farebbe gola ad uno sceneggiatore hollywoodiano. In realtà più che spazio d’astrazione qui c’è una solida concretezza.

Convertiti tutti i vigneti all’agricoltura biologica, l’ambizione perseguita è quella di valorizzare il terroir riducendo al minimo gli interventi in vigna e cantina.

Nata da un vigneto la cui esposizione garantisce uve che raggiungono piena maturazione, regalando vini ampi e generosi, la Cuvée Pierrefolle viene vinificata in botti di rovere di secondo e terzo passaggio. Dopo la sosta sui lieviti di un anno, viene travasata e assemblata in tini per altri 6/8 mesi, periodo in cui avviene la naturale decantazione e chiarifica.

Imbottigliato senza filtrazioni né altri interventi, è un vino ricco già per gli occhi: oro caldo, scorre pieno e sinuoso fra le pareti del bicchiere. Aromi sofisticati di fiori di zagara, accenni di frutta bianca a polpa matura, ma anche lievi sentori tropicali di ananas. Percettibile la presenza del legno attraverso una speziatura dolce che necessita ancora di qualche tempo per integrarsi alla perfezione. Note burrose che arrotondano la fascia aromatica. Caldo e profondo in bocca, persistente. La progressione nella degustazione è netta e scandita da vini sorprendenti. Se serve ulteriore ratifica a questo Pouilly-Fuissé si metta agli atti che, dalla vendemmia 2020, si fregerà della menzione Premier Cru.

Olivier Merlin - Mâcon La Roche Vineuse Blanc “Vieilles Vignes” 2018

Altro Domaine familiare, ma più esteso, grazie ai 22 ha di vigne sparse fra Saint-Véran, La Roche-Vineuse, e giù, fino al Beaujolais, nella zona dell’AOC Moulin-à-vent. Non sono figli d’arte Corinne e Olivier: solo dopo anni di studi, nel Jura e in California, approdano nel Mâconnais dove fondano, nel 1987, e fanno progredire nel tempo, una realtà dai numeri piuttosto importanti: 145.000/180.000 bottiglie prodotte ogni anno declinate in 17 diverse cuvée.

La parte del leone, nemmeno a dirlo, spetta ai vini bianchi da Chardonnay, fra cui questo Mâcon La Roche Vineuse Blanc “Vieilles Vignes” che stasera vince il titolo di miglior vino della degustazione, secondo il parere dell’entusiasta platea. Pressatura diretta, leggera decantazione in tini di acciaio inox, fermentazione alcolica e malolattica in botti di rovere. Affinamento per un anno in barrique, poi 4 mesi in tini di acciaio inox. Dopo la svinatura subisce una leggera filtrazione prima dell’imbottigliamento.

Tanto basta per ottenere un vino dalla vellutata potenza. Al naso è netta la successione aromatica, fiori e frutta a polpa bianca, nespola, nocciola, fino alla speziatura conferita dal legno, perfettamente integrato. Presente una ricca mineralità riconducibile al terreno di provenienza. In bocca è caldo, avvolgente, glicerico, disteso. Un vino scalpitante che ha trovato pienezza con l’aiuto del tempo, figlio di un’annata baciata dalla sorte, per resa e qualità delle uve.

Non potevamo sperare in finale migliore.

Ho l’impressione che stasera si sia proceduti in un lungo piano sequenza che ci ha inglobati e coinvolti in una realtà conosciuta finora in modo troppo superficiale: che errore pensare alla Borgogna e partire a contarla dalla Côte-d'Or !. Peregrinando qua e là fra la storia del luogo, ho scoperto che Mâcon, oltre ad essere intrecciata a stretto giro con la pratica dell’agricoltura e della coltivazione della vite, ha dato i natali a un grande poeta, pensatore e politico vissuto a cavallo del XIX secolo: Alphonse de Lamartine.

Figlio della piccola nobiltà terriera del luogo, proprietario di poderi e vigne a Milly, scriveva nella poesia «La casa e la vigna»:

[...]Seguimi dal cuore per vedere ancora, Sul dolce pendio a sud, La vite che ci ha fatto nascere, strisciare sulla roccia tiepida[...] [...]Ascolta il grido della vendemmia che sale dal torchio vicino, guarda i sentieri rocciosi dei granai arrossati dal sangue dell'uva.[...]

Mâcon, Borgogna del Sud: quanta fatica per affermare una propria identità, ma quanta passione, impegno e cultura abbiamo trovato stasera nel bicchiere!

Valentina Pizzino
Valentina Pizzino

Nata a Firenze da una famiglia di astemi, non ha mai dubitato che nelle sue vene scorresse Chianti Classico. Lavora fra i libri, ma gli scaffali che preferisce sono quelli delle enoteche. Il suo centro di gravità permanente è sempre ruotato attorno a una bottiglia.

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