1 aprile 2019

Bordeaux - Itinerario nei luoghi dove è stato modellato il mito moderno del vino: la riva destra

Bordeaux: La riva destra

 Si le vin de toi n’est aimé, Visiteur retourne en arrière: Le Pont de Bordeaux t’est fermé.” André Berry, Les Esprits de Garonne

Chi l’ha detto che ormai, in tema di grandi rossi francesi, solo la Borgogna possa attirare moltitudini di adepti e appassionati verso master class, degustazioni, dibattiti, tavole rotonde et similia? Che solo il Pinot Noir sia degno di approfondimenti e sconfinata devozione, mentre vitigni innegabilmente più accostabili anche dai neofiti, vedi il caso della triade bordolese, siano da relegare al farfugliare di ingenui parvenu che hanno ancora tanta, ma tanta strada retrolfattiva da fare?

La smentita è condensata nella tentazione che ho avuto, fortissima, di scrivere un sottotitolo del tipo “Fenomenologia del seminario su Bordeaux: il sito FISAR come il Box Office”, per i motivi che vado a spiegare e che ben conosce chi era intenzionato ad iscriversi, senza riuscirci; ma essendo il vino argomento alto, non ho ceduto. 
Il fatto è che le registrazioni alle tre serate dedicate appunto a Bordeaux hanno raggiunto il tetto massimo nel giro di due minuti dicasi due, neanche si trattasse di un concerto di… no, non lo scrivo di chi, il gusto musicale è cosa delicata e ognuno si senta libero di pensare alla propria rockstar di riferimento. Sta di fatto che il fascino dei grandi domaines bordolesi non è affatto in calo, tutt’altro.
Accennati i contorni di un successo di adesioni che pare non abbia precedenti, l’attenzione va ora alle parole introduttive di Livio Del Chiaro, il nostro primo relatore, che fluidamente ci porta per mano ad affrontare un argomento a dir poco impegnativo: la materia è infatti di ampiezza direttamente proporzionale all’estensione delle superfici vitate in questione, ossia il più vasto distretto vitivinicolo di qualità al mondo (quasi un terzo del vino francese a denominazione di origine si produce qui); condensare tutto questo in tre incontri implica per forza di cose una selezione, che ha giustamente privilegiato le zone ed i vini più rappresentativi. Dopo una panoramica generale, entreremo nel vivo con la Riva Destra, ossia la regione a oriente dell’estuario della Gironda.

Bordeaux e il suo territorio – Natura e Storia

Regione liquida anche geograficamente, il Bordolese. Basta uno sguardo alla cartina per rendersi conto di come l’acqua sia un elemento dominante di questa ampia porzione di Francia sudoccidentale: il reticolo fluviale costituito da Garonna e Dordogna e relativi affluenti, la loro confluenza nell’estuario della Gironda, a sua volta affacciato sull’Atlantico, la presenza di vari bacini, tra cui quello di Arcachon; un vero e proprio sistema circolatorio che ha per cuore pulsante il porto di Bordeaux, facilmente raggiungibile dall’Oceano. 
Ma i favori della natura non si fermano qui. Altre condizioni virtuose sono la latitudine, che coincide col 45° parallelo; il clima, mitigato dalla Corrente del Golfo e dal grande estuario, oltre che dalla presenza dell’immensa foresta delle Landes, che protegge i vigneti dai venti oceanici; le diverse tessiture dei terreni, che nella loro varietà sono l’habitat ideale per la triade a bacca rossa che da qui ha trovato diffusione in tutto il mondo, ma che in loco regna orgogliosamente da secoli, ossia Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc, o da tempi molto più remoti, come nel caso del Merlot, che verosimilmente nella Gironda è autoctono; o ancora, le brume mattutine delle Graves, che regalano agli acini di Sémillon l’attacco benedetto della muffa nobile.

I vini che assaggeremo stasera e durante le altre che seguiranno sono espressioni di questi vitigni, ma anche di climi e suoli assai diversi tra loro, a comporre un mosaico di indiscutibile valore ed interesse.
Si diceva una regione liquida, certo, ma che antropologicamente è quanto mai concreta, terra di un popolo che ha saputo sfruttare al meglio situazione geografica e vicende storiche, dimostrando una spiccata vocazione al commercio.
La vite risulta presente in zona già in epoca romana, quando il capoluogo era chiamato Burdigala. Fu proprio a causa dei prezzi elevati dei vini importati dai Romani dall’Italia e dal Narbonese che i notabili del luogo decisero di impiantare dei vigneti. Cominciano così ad affermarsi i vini locali.

Un ardito salto storico per arrivare fino al XIII secolo, quando, con il matrimonio tra Eleonora d'Aquitania e il futuro re Enrico II d’Inghilterra, la regione resta per circa tre secoli sotto il controllo della Corona inglese. Accresce la propria importanza commerciale grazie al rapporto privilegiato con la potente flotta d’Oltremanica, consolidato dagli importanti sgravi fiscali concessi dagli Inglesi. I traffici sono incentrati sull’esportazione di grandi quantità di vino locale, chiamato Claret per il suo colore chiaro, ed è in quest’epoca che l’estensione della vite aumenta, specie nel Libournais.

Quando nel 1453 il ducato d’Aquitania torna in mani francesi, terminano anche i privilegi commerciali ed ogni scambio con l’Inghilterra è bandito. Un'altra acrobazia di un secolo e mezzo – alba del 1600 – e si arriva a un’importante svolta storica ed economica, quando Enrico IV di Francia fa appello all’esperienza degli Olandesi per bonificare le aree paludose della regione (tra cui il Médoc), offrendo loro a prezzi favorevoli l’acquisto di terre in zona. In questo periodo i commercianti bordolesi concentrano i propri sforzi sul miglioramento qualitativo del vino. È l’inizio della prestigiosa ascesa della regione e dei suoi vini, che si consoliderà nel secolo successivo.

Sembra complicato…e infatti lo è: il sistema bordolese della Classificazione - oltre le AOC

Le AOC sono le denominazioni di origine, presenti in tutte le regioni vitivinicole francesi e che naturalmente ritroviamo anche qui a Bordeaux.
Accanto al sistema delle denominazioni però, qui è in vigore un ulteriore criterio, che tra l’altro non viene applicato in modo univoco in tutte le sottozone, cosa che certo non facilita la lettura immediata della bottiglia che si ha di fronte. 
In occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1855, venne richiesta dall’alto (Napoleone III) una gerarchia dei migliori vini bordolesi. Si prese in esame solo la Riva Sinistra e venne utilizzata la nozione di Cru Classé, ma con significato del tutto diverso rispetto a quello in uso in Borgogna; il “cru” del Classement ottocentesco si riferisce ad un livello di qualità assegnato al vino di un produttore (château) e non alla parcella migliore di un vigneto. La scala comprende al suo apice cinque gradini di Grand Crus Classés, di livello decrescente dal primo al quinto. L’elenco dei vini di quella fatidica data includeva esclusivamente produttori del Médoc, tranne uno, Château Haut-Brion, nelle Graves. È una classificazione praticamente inscalfibile, con un solo nuovo ammesso in 164 anni di storia, Château Mouton Rothschild nel 1973.

Nella Riva Destra la regione di Saint-Émilion, nel Libournais, avrà, a prescindere dalla sua AOC, la classificazione per i suoi vini di maggior pregio un secolo esatto più tardi, nel 1955; in questo caso però sono previste revisioni ogni dieci anni. Qui si parla di Grands Crus Classés, il livello “più basso” e di Premiers Grands Crus Classés, il più alto, a sua volta suddiviso in categoria A e B.
Per sparigliare ancora un po' le carte, si aggiunga che ci sono varie zone di Bordeaux, una su tutte la celeberrima Pomerol, che non hanno adottato il sistema delle classificazioni e per le quali ci si ferma all’AOC.

Dopo il lento avvicinamento, la meta della serata vista da vicino: La Riva Destra

Non si può parlare di vere e proprie colline nel distretto vitivinicolo di Bordeaux, ma la Riva Destra, e in particolare la piccola area in cui si producono i vini più pregiati della regione, ha un’alternanza di altipiani, lievi rilievi collinari e terreni più drenanti. La composizione cambia da una località all’altra, si possono trovare matrici argillo-calcaree, con conseguente cessione di corpo, colore e acidità alle uve, ma anche formazioni di sabbia e ghiaia.

I vitigni

Predominanti sono il Merlot, varietà sovrana, specie nel Libournais, e il Cabernet Franc, con percentuali minori di Cabernet Sauvignon e Malbec. L’oceano è qui più distante dai vigneti rispetto alla Riva Sinistra ed il clima è decisamente più fresco, situazione ideale per la lenta maturazione del Merlot, che richiede suoli umidi e grassi (meno per quella del Cabernet Sauvignon, che si ambienta al meglio sulla Riva Sinistra). Il connotato principale di questo vitigno è la morbidezza, utile a smussare le asperità di uve più austere, come il Cabernet Sauvignon, oltre ai profumi di frutti rossi e neri, che virano verso l’erbaceo se la maturazione non è completa.

L’altra varietà coltivata da questo lato della Gironda è il Cabernet Franc, progenitore del Cabernet Sauvignon e secondo alcune teorie originario dell’Illiria, secondo altre invece proveniente dai Pirenei iberici. Quale che sia la teoria giusta, l’ambiente pedoclimatico di quest’area è stato dei più favorevoli alla sua espressione. Matura prima del Cabernet Sauvignon, è meno tannico e meno colorato, predilige suoli sabbiosi e sassosi di matrice calcarea e un clima più fresco.

Le sottozone e i vini della Riva Destra

Dopo un rapido accenno alla sottozona più settentrionale, con capoluogo BLAYE, dai terreni prevalentemente calcarei, in cui si producono vini sia rossi che bianchi, scendiamo verso il fulcro qualitativo della regione, ossia il LIBOURNAIS con le sue AOC, cinque delle quali saranno protagoniste dei nostri imminenti assaggi. Saranno tutti vini a base prevalente di Merlot, tranne nel caso di Château Cheval Blanc, che ha percentuali importanti di Cabernet Franc.
Siamo in un’area in cui i vigneti sono fitti e concentrati nelle singole tenute e non dispersi in più appezzamenti, a differenza di quanto accade nella Riva Sinistra; sono situati per lo più nella pianura alluvionale, ma i migliori si trovano sulle colline. Dominanza assoluta del Merlot e produzione pressoché esclusiva di vini rossi in tutte le AOC, tranne una, la Côtes de Francs. Il clima è fresco, ma qui mitigato dai fiumi Dordogna e Isles, la piovosità è elevata.

CASTILLON CÔTES DE BORDEAUX: Il primo vino in degustazione proviene da questa AOC. Inglobata nel 2009 nella più ampia Côtes de Bordeaux, ma con il proprio nome specificato, si trova all’estremità orientale e più fresca del Libournais, intorno alla città di Castillon-la-Bataille. I vini prodotti sono esclusivamente rossi, con il Merlot ancora predominante (70% della superficie vitata), insieme a Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon.
Degustiamo Château Cap de Faugères 2015 – Un uvaggio di Merlot per l’85%, 10% di Cabernet Franc e 5% di Cabernet Sauvignon. Vinificazione in acciaio e legno e affinamento di oltre un anno, in gran parte in botti nuove ed il resto in botti di secondo passaggio. Il colore è un rubino intenso, concentrato, con riflessi granato. Le note che arrivano per prime sono quelle dei frutti maturi a bacca nera (more, sambuco), poi il boisé con la vaniglia, seguite da un accenno di balsamicità e da un finale che ricorda il cacao; non pervenute le note vegetali, segno che il Merlot non è stato vendemmiato anzitempo. L’ingresso in bocca introduce la percezione dei tannini e del calore, ma in tandem con una decisa freschezza; il corpo è snello, a conferma che siamo in una zona con un clima più freddo di quelle limitrofe, fattore frenante per la tendenza morbida del Merlot. Un vino godibile già da ora, ma con una spalla acida che promette sicuri margini di evoluzione.

CANON FRONSAC: L’altopiano calcareo di Canon Fronsac è il proseguimento verso ovest di quello di Saint-Émilion.  Zona ricca d’acqua, nella quale i fiumi Isle e Dordogna hanno modellato il paesaggio e apportato varietà ai terreni, argillosi, calcarei, sabbiosi, che poggiano sulla molasse du fronsadais, un particolare tipo di arenaria tipico di Fronsac. La prossimità dei fiumi ai vigneti mitiga gli estremi climatici estivi e invernali, regalando alle uve (soprattutto Merlot) un’armoniosa e lenta maturazione. I vini migliori provengono dalla porzione più a nord, ovvero quella più distante dai suoli alluvionali della Dordogna. Qui la maggiore presenza di calcare ed arenaria rispetto all’argilla fa sì che la vite sia più resistente al caldo estivo, anche in annate estreme, rendendo in questi casi i vini di Canon Fronsac più equilibrati perfino di quelli provenienti dal più prestigioso Médoc.

FRONSAC: È la denominazione, anch’essa lievemente collinare, all’interno della quale si trova la più piccola Canon Fronsac, con la quale condivide clima e tipologie di terreno. Da qui proviene il secondo vino di stasera:
Château Villars 2014 – Da questa bottiglia in poi, assaggeremo solo vini di questa annata, che a Bordeaux è stata di buon livello in termini di espressione del territorio, seppur piovosa come da noi, con una vendemmia del Merlot leggermente in ritardo. Ci troviamo dalla parte opposta rispetto al vino appena degustato, all’estremità ovest del Libournais. Qui l’uvaggio, ancora soprattutto Merlot (73%), lascia più spazio al Cabernet Franc (18%) e al Cabernet Sauvignon (9%). Dopo una macerazione di 24 giorni, l’affinamento di un anno è stato fatto in barrique parzialmente di primo passaggio. Nel calice, di nuovo un rubino carico, impenetrabile, al naso una presenza più sfumata delle note del legno, ancora la percezione di frutti neri ma meno maturi e in retrolfattiva richiami di spezie (pepe nero) e grafite al posto delle sfumature tostate avvertite nel primo bicchiere. Un corpo leggermente più strutturato e un’acidità meno presente (la zona del resto è meno fresca), tannini anche qui ben percettibili, diventa più evidente il vitigno dominante, pur senza eccedere in morbidezza.

LALANDE DE POMEROL: Il fiume Barbanne separa questa AOC da quella più famosa di Pomerol; i vini della denominazione vengono prodotti in due comuni, Lalande-de-Pomerol appunto, e Néac, che è quello in cui si trovano i vigneti migliori. Lalande ha terreni ghiaiosi, mentre a Néac, ad un’altezza più elevata, oltre alla ghiaia si trovano anche sabbia ed argilla. È una zona in cui il rapporto qualità/prezzo è tra i più favorevoli del Libournais.
Assaggiamo Château Belles Graves 2014 – Merlot 88% e 12% di Cabernet Franc, che dopo un mese di macerazione affinano per un anno in barrique in parte nuove. Belles Graves si trova nella zona più vocata, Néac, e il proprietario è un produttore indipendente. Rubino brillante ma meno profondo dei primi due; avvicinando il calice, per prima si affaccia una nota balsamica, subito incalzata da altre di frutta rossa e frutti di bosco, con legno e spezie in chiusura. Elegante e di bell’equilibrio al palato, tra freschezza, tannini sempre ben presenti ma più levigati che nei primi vini e morbidezza non stucchevole.

POMEROL: situata a nord-est della cittadina di Saint-Émilion, è la più piccola tra le grandi AOC di Bordeaux e insieme a Saint-Émilion la più prestigiosa della Riva Destra. I fiumi, Barbanne a nord e ovest e Dordogna a sud, hanno arricchito il territorio, argilloso e ghiaioso, di materiale sedimentario alluvionale, la presenza dei venti ha portato depositi di sabbie ferrose (crasse de fer), arricchendo ancor più la composita geologia di questa zona. È la culla dei migliori Merlot del mondo, morbidi e potenti, specie nell’altopiano di nord-est, in genere pronti prima degli altri grandi vini bordolesi. Come accennato, non vige una classificazione qualitativa, si fa riferimento alla generica AOC. Del resto, proprietà prestigiose come Château L’Évangile o Petrus non hanno certo bisogno di menzioni aggiuntive in etichetta (e di sicuro non si tratta di understatement). L’estensione vitata di quest’ultima tenuta supera di poco i 10 ettari, quasi tutti a Merlot con una piccola parte di Cabernet Franc, su terreni con una quantità di argilla ferrosa che si trova solo qui; il prezzo dell’unicità si paga e infatti si raggiungono facilmente cifre a tre zeri. Chi volesse comunque svenarsi e restare nel ricordo dei pronipoti grazie a un acquisto memorabile, faccia attenzione, in questi tempi bui di spudorate contraffazioni, a non farsi rifilare l’annata 1991, non esiste!
Niente guardie del corpo intorno ai nostri valorosi sommelier, ergo non degusteremo Petrus per capire al meglio il terroir di Pomerol…Bisogna dire però che l’alternativa è tutt’altro che un triste ripiego:
Château La Pointe 2014 – Domaine ad ovest di Petrus, ma suoli con meno argilla e meno crasse ferrosa. Uvaggio simile al Belles Graves, Merlot 83% e Cabernet Franc 17%, vinificazione in cemento e malolattica in parte in legno e in parte in vasca, seguita da affinamento medio di un anno in barrique nuove. Il rosso è un rubino intenso, che sfuma in granato; si avverte una finezza espressa da profumi distinti di frutti neri e rossi (prugne, ciliegie mature), floreali di pot-pourri, note equilibrate di vaniglia e di spezie dolci, mineralità nel finale. Avvolgente e molto morbido al palato, la trama tannica è fitta e setosa ma le fa eco la freschezza, in un dinamismo tattile che invoglia a continuare. Vino paradigmatico della zona di elezione del Merlot e del locale savoir-faire anche in fase di vendemmia: le uve raccolte nel momento di piena maturità polifenolica fanno emergere il frutto, evitando al contempo gli eccessi di morbidezza e alcolicità, in agguato se si sfiora la surmaturazione.


SAINT-ÉMILION: Abbiamo accerchiato, con le zone precedenti, la AOC bordolese in cui la vite ha la storia più antica; i suoi vini pare fossero già noti in Inghilterra quando il Médoc era ancora agli albori dei suoi commerci. Anche qui i terreni variano a seconda della geografia: altopiano calcareo a Saint-Émilion; vasta area argillo-sabbiosa verso la città di Libourne; valli costiere argillo-calcaree; pianura sabbiosa e ghiaiosa nella valle della Dordogna. 
Se per Pomerol il tratto comune è la potenza, qui i vini si possono accomunare sotto il segno dell’eleganza.
La classificazione, si accennava, viene aggiornata ogni dieci anni, previa valutazione di campioni di più annate inviati dai produttori che aspirano a farne parte e vengono prese in esame le qualità organolettiche dei vini, la collocazione dei vigneti ed i prezzi di vendita: Premier Grand Cru Classé A; Premier Grand Cru Classé B; Grand Cru Classé.
Nel 2012 (anno in cui si è ripetuta la valutazione, causa annullamento di quella del 2006) sono riuscite ad assurgere al vertice di 1er Grand Cru Classé A due tenute, Château Angélus e Château Pavie, che hanno affiancato i fino ad allora solitari e blasonati Château Ausone e Château Cheval Blanc. Etichette notissime, oggetto di culto già a metà del XIX secolo, come testimonia la lunga storia di Cheval Blanc: merito anche dei suoi terreni, del tutto peculiari per essere a Saint-Émilion, alluvionali anziché calcarei e con uguali percentuali di argilla e ghiaia. Da vent’anni è di proprietà di Monsieur Bernard Arnault e di un suo aristocratico amico (sì, quell’Arnault, Gruppo LVMH, per dire…).

Due i vini di questa denominazione, prima del misterioso vino finale:

Château La Tour Figeac 2014 Saint-Émilion Grand Cru – Si trova a metà strada tra Château Cheval Blanc e Château Figeac. Torniamo a percentuali inferiori di Merlot, come all’inizio degli assaggi, 70%, unito a un 30% di Cabernet Franc; vinificazione in acciaio e affinamento in barrique di primo passaggio per 15 mesi. Rubino brillante, di bella intensità ma leggermente più trasparente del Pomerol, il naso è fruttato, ancora una volta rimandi odorosi di piccoli frutti neri e rossi, balsamico, con una nota vegetale, anche qui si ritrova il profumo di vaniglia ma accompagnato da sentori di caffè, cacao e grafite alla fine; all’assaggio arriva con una freschezza ancora un po' impetuosa, con tannini decisi, il corpo è presente ma sicuramente più agile che nel vino precedente. Persistente il finale, in cui ritroviamo il caffè ed una nota ferrosa. Molto piacevole adesso, ma se lo si lascia riposare in cantina l’esperienza sarà ancora più gratificante.

Ebbene, il giro largo che Livio ci ha fatto fare per arrivare fin qui è frutto di consumato mestiere: si è tenuto infatti, come sarà chiaro all’unanimità dopo la votazione, the best for last.

Le Petit Cheval 2014 Saint-Émilion Grand Cru – È il secondo vino di Château Cheval Blanc (e quindi non classificato Premier Grand Cru Classé, che si riferisce sempre e solo al primo vino). Merlot e Cabernet Franc in proporzioni quasi uguali, vinificazione in acciaio, più lunga per il Merlot e affinamento di 15 mesi in barrique nuove. I terreni qui sono meno argillosi della media di zona ed hanno più ghiaia, quindi adatti oltre che al Merlot anche al Cabernet Franc. Rubino profondo e brillante e ad aprire il ventaglio olfattivo il ribes nero, i fiori (rosa che volge al fané), poi note resinose, minerali, spezie dolci (anice), cacao; in bocca è fresco e insieme suadente, di morbidezza decisamente superiore al primo Saint-Émilion, con struttura e tannini meno marcati ma di maggior finezza; gli aromi in retro olfattiva confermano l’attacco fruttato-floreale ma anche la freschezza del primo sorso, in un quadro generale di elegante complessità che concede spazio ad entrambi i vitigni.

Aspettando di scoprire il vino misterioso, ripercorriamo calice per calice il nostro viaggio nella Riva Destra, constatando come il tempo della degustazione abbia permesso una migliore espressione degli aromi, aprendo laddove sembrava ci fosse una leggera chiusura e rendendo più tangibili le differenze tra le varie zone.

E infine il vino a sorpresa; si fa giusto in tempo a valutarne il colore, un rubino carico e impenetrabile, che Livio, vista anche l’ora tarda, parte coi suggerimenti: forse un vitigno internazionale? Oppure un Nero d’Avola? Magari un Sangiovese della costa, da suoli argillosi? Al naso l’impressione personale è di frutta nera, di spezie, liquirizia soprattutto, di note balsamiche mentolate. I miei vicini evocano chiodi di garofano, pepe nero, smalto. In bocca è strutturato, morbido, tannico. Viene svelato il vitigno, un Cabernet Franc in purezza, mentre sullo schermo appare la foto di un paesaggio collinare che poco ha da spartire con i panorami visti nelle slide di stasera: IGT Toscana Rosso Argirio 2015 di Podernuovo a Palazzone, in quel di San Casciano dei Bagni (guarda caso sulla Riva Destra della Via Cassia, tout se tient…).

E la Rive Gauche?

Mariella De Francesco
Mariella De Francesco
Fiorentina di nascita, mamma friulana e papà napoletano, entrambi astemi, il solo alcol presente in casa nostra è sempre stato quello rosa per disinfettare. Scopro the bright side of the moon intorno ai trent’anni e da allora è cominciata la festa. Traduco di tutto, ma dalle 19:00 in poi ho un calice in mano al posto del mouse.

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