2 maggio 2019

La nostra “magnifica ossessione” capitolo terzo: gli Altri Lieviti

La nostra “magnifica ossessione” capitolo terzo: gli Altri Lieviti

Siamo al terzo, finale (?) appuntamento dedicato alla scoperta delle diverse declinazioni e sfumature di una tipologia di vino che , per fausta convergenza  di interesse di pubblico e mercato, vede un’impennata felice del proprio trend che, ad oggi, non pare arretrare di un passo: gli Spumanti.

Martin Rance, additatore e conduttore de la gente a questo segno, stavolta ci porta fuori dai confini italiani, e non si accontenta di soffermarsi in zone consuete, ché, diciamoci la verità, a trovare Champagne espressivi son buoni tutti, ma si spinge oltre, dove le nostre conoscenze teoriche non sono efficacemente supportate da  prove esperienziali, e colma in una sera un gap cognitivo e geografico non indifferente.

È risaputo come la forte richiesta dei mercati internazionali non possa essere soddisfatta solo dall’export di Italia e Francia, zone canoniche per la produzione di Spumanti, in cui, in ogni modo, buona parte di questi vini resta in casa , destinata a un consumo interno.

Altro dato purtroppo incontrovertibile riguarda il cosiddetto “cambiamento climatico”, che sta progressivamente mutando il panorama mondiale delle zone vocate alla coltivazione in genere, e alla viticoltura in particolare.

Le temperature più alte agiscono in due modi: si alza il grado zuccherino dell’acino, e quindi cresce il tenore di alcol, e diminuisce l’acidità, il che fa perdere alcuni profumi...Una soluzione che si sta già tentando è fuggire “in alto”, con vigneti a sempre maggiore altitudine, ma se il fenomeno continua sarà difficile contrastarlo”. (prof. Roberto Zironi, Uniud)

Da materia astratta quale sembra, il concetto di riscaldamento globale appare subito concreto quando si pensa alle zone di produzione di Champagne, che si stanno spostando verso il sud dell’Inghilterra, dove la corsa all’acquisto di terreni vocati è già in corso da quasi un decennio.

Il concorrere delle due condizioni di cui sopra ha portato, nel tempo, allo sviluppo di una realtà produttiva spumantistica parallela a quella canonica, che si declina dall’Europa all’America, al Sudafrica: spinti da quest’impulso, sono molti i produttori che si cimentano nell’elaborazione di Sparkling wine, e forte è l’impatto che questi “nuovi Spumanti” stanno avendo sul mercato globale.

Trattandosi di nuove, estese realtà produttive, necessariamente eterogenee fra loro, non è possibile, ne’ giusto, trovare un comun denominatore in questi vini, se non il tipo di vinificazione.

Per il resto, le zone produttive differiscono per estensione e longevità, i terreni per composizione, i produttori possono ricalcare i passi delle grandi maison francesi coltivando le uve internazionali vocate alla spumantizzazione o elaborando cuvée da varietà autoctone: tutto vale in un vasto panorama non ancorato ai cardini di una tradizione temporale e/o territoriale.

Dopo l’impegnativo parergo torniamo sulle consuetudini a noi care della degustazione, che Martin ha allestito con navigata esperienza: proprio per farci abbracciare e comprendere l’eterogeneità del fenomeno, i vini scelti per la serata nascono da zone e realtà produttive diverse, da produttori dalle ambizioni dissimili.

Unico comun denominatore degli Spumanti della serata, la provenienza da uve coltivate in regime biologico o biodinamico. Forte è la tendenza, anche mondiale, di riscoprire metodi di coltivazione più “corretti” verso il terreno che accoglie la coltivazione, l’ambiente che lo circonda, l’uomo che consumerà il prodotto finale: e se si tratta di tendenza o business, marchio che rende più appetibile il prodotto sui mercati globali poco ce ne cale, se il risultato finale restituisce vini dagli aromi corretti che non impattano negativamente con l’ambiente.

L’ordine della degustazione è dettato dalla struttura, in crescendo, dei vini presentati. Detto questo, che sia il bicchiere a parlare.

Domaine des Roches Neuves - Bulles de Roche

Partiamo da luoghi piuttosto familiari: siamo in Loira, dove Saumur  e Vouvray sono sempre state zone vocate alla produzione di Crémant, molto richiesti e apprezzati dal mercato inglese.

L’uva principe della zona è lo Chenin Blanc, che, non a  caso, mutua il nome dall’Abbazia di Montchenin: viene qui piantata in via sperimentale tra il 1520 e il 1535, dall’abate Denis Briçonnet, dimostrando da subito grande attitudine alla coltivazione in queste condizioni pedoclimatiche.

L’AOC Saumur del 1957 prevede nell’assemblaggio degli Spumanti bianchi una percentuale minima del 60% di Chenin Blanc, con una sosta sui lieviti minima di 9 mesi.

Thierry e Philippe Germain acquistano nel 1993 questo domaine, già attivo dal 1850, sito nel comune di Varrains, nel Saumurois, che si estende su 22 ha.

Provengono da Bordeaux, hanno mestiere e ambizione, e da subito imboccano la strada della biodinamica: rivitalizzano i terreni, bandiscono gli interventi chimici in ogni fase del processo di vinificazione, ma non per questo restano legati a un’idea romantica di naturalità. Bella, funzionale e tecnologica la cantina appena rinnovata: il loro “L’Insolite” è uno degli Chenin Blanc fermi più celebrati al momento.

Proprio nelle barriques di secondo passaggio usate per questo vino affina la base dello Spumante: pas dosé da Chenin Blanc al 95% e l’esigua parte restante di Cabernet Franc, vede una sosta di almeno 18 mesi sur lies.

Brillante nel bicchiere quanto brioso in bocca, con effervescenza fine e tatticamente piacevole. Gli aromi rimandano alla tipicità di uno Chenin giovane: floreale, fruttato fresco e agrumato regalano una dinamica olfattiva semplice ma esuberante.

Gioca sulla spiccata freschezza anche in bocca, dove però l’attacco verticale sa conquistare volume nel centro bocca, anche grazie alla mousse piuttosto cremosa.

Vino d’attacco, che ci sorprende positivamente: all’onestà espressiva che ci aspettavamo contrappone un carattere inaspettato e piacevole.

Giorgio Clai - Pjenušavo Vino 2015

Viene dal mondo della ristorazione Giorgio Clai, quando, insieme alla moglie Vesna, nel 2000 acquista questi 6 ha di terreni a Krasica, comune Buje, nell’Istria croata, zona di confine (col Friuli) poco conosciuta, dove, anche nel mondo enoico, si incontrano culture e tradizioni affini, ma diverse perché afferenti a realtà territoriali peculiari: malvasia istriana e terrano sono le uve più diffuse.

Soprattutto la malvasia, mutuata dalla regione greca del Peloponneso e qui portata dai marinai veneziani, segna il passo della diversità territoriale: le terre rosse e brune istriane regalano vini di grande struttura e spessore, molto diversi dai vicini friulani.

Riconducibile alla categoria dei vini Triple AAA, cui Clai aderisce, questo Brut Nature da Malvasia, Chardonnay e Plavina, sosta 18 mesi sui lieviti.

La Plavina è un’uva a bacca rossa autoctona molto diffusa lungo tutta la costa croata che, in questo caso, pare vinificata in rosato, rilasciando pigmento, timido nella sfumatura ma ugualmente visibile nel bicchiere. Vini base probabilmente sottoposti a lieve macerazione, come sembrano confermare i sentori tipici di ossidazione che si percepiscono sia al naso che in bocca: mela cotta, susina, frutta matura a polpa gialla. Mineralità dolce con accenni di cipria, trama tannica lieve ma distinguibile che pare avallare l’ipotesi dell’uva a bacca rossa che vede un breve contatto con le bucce. Voluminoso in bocca ma poco dinamico, un po’ troppo seduto, abbastanza persistente nella scia aromatica.

Spier - Signature Methode Cap Classique Brut 2015

Dopo due piccoli produttori, arriva il colosso sotto forma di Spier Wine Estate che, con 65 ha di vigneti, enorme cantina con annessi resort di lusso e  tre ristoranti, è una delle più antiche aziende vinicole di Stellenbosch, Sudafrica, attiva dal 1692.

Qui si coniuga il Methode Cap Classique, sperimentato per primo da Simonsig Wine Estate, che commercializza nel 1971 la prima bottiglia, aprendo una felice strada per i  molti produttori che seguiranno.

La chiara ambizione è quella di assomigliare il più possibile ai blasonati Champagne francesi, ricalcandone uvaggi e tecniche produttive: non si ricerca personalizzazione e distinguibilità nel vino, bensì consonanza e similitudine a prodotti d’eccellenza. Se questo sia un bene, un male, o un mero dato di fatto senza molta importanza, sta al lettore giudicarlo, secondo la propria sensibilità e punto di vista: il giudizio della cronista cede il passo.

Spumante Brut dai parametri di 6 gr/l di dosaggio, da Chardonnay al 60% e Pinot nero per la restante parte, persegue la ricerca di una certa rotondità fin dall’elaborazione dei vins claires, che in misura del 10% vengono affinati in botti di rovere da 400 litri. La sosta sur lies è di 24 mesi.

Il naso ci riporta nella nostra comfort zone, aprendosi ad un ventaglio di aromi propri degli uvaggi a noi consueti. La freschezza di una mela golden cede il passo al frutto tropicale di buona maturazione, mango e passion fruit, e continua l’evoluzione verso le note più dolci di frutta candita e vaniglia, speziatura tenue e calda.

I terreni scistosi su cui prosperano le viti regalano mineralità e sapidità, in bocca il perlage fine e cremoso si espande armonico.

La complessità guadagna posizioni con questo vino, promosso anche nella buona persistenza aromatica.

Penso che copiare invece che cercare una propria strada non sia poi così lodevole, ma riuscire a riprodurre in modo decoroso un modello alto, partendo da presupposti così lontani e, per certi versi, antitetici, sia comunque un lavoro meritevole d’encomio.

Ecco, al solito, la cronista la sua l’ha dovuta dire, perdoneranno i miei venticinque lettori l’assenza d’imparzialità.

Peter Jakob Kühn - Riesling Sekt Brut 2013

Membro della “Renaissance des Appellations”, associazione di vignaioli biodinamici creata nel 2001 da Nicolas Joly, Kühn opera a Oestrich, nel Rheingau, una delle aree più tradizionali quanto vocate della viticoltura tedesca: piccola zona produttiva con esposizione ottimale, dà i natali ai più famosi Beerenauslese e Trockenbeerenauslese (per ragioni climatiche favorito lo sviluppo della muffa nobile).

Vitigno principe il Riesling, che questo produttore, unico della zona , vinifica anche in anfora, nell’ azienda di famiglia attiva già dal 1786, e di cui rappresenta l’undicesima generazione impegnata in vigna.

Quindici ha di vigneti siti su terreni scistosi, sono quelli delle zone più fredde a fornire le uve per l’elaborazione di questo Sekt, raccolte ad inizio vendemmia, quando il Riesling ha ancora intatta tutta la carica di acidità che gli è peculiare.

Nonostante l’amore dei viticoltori tedeschi per i vini con residuo zuccherino, qui il dosaggio resta assestato sui parametri del Brut, che nulla tolgono alla verticalità di questo vino che in bocca entra dritto e tagliente. Sorso spigoloso e asciutto, invoglia al successivo senza soluzione di continuità; austerità che non respinge, ma, anzi, invoglia alla conoscenza.

Al naso chiari i sentori dati dal Riesling, dove la nota fruttata e citrica cede il passo all’idrocarburo.  

Fine e persistente la mousse, non particolarmente cremosa, che assolve bene il suo compito di rendere la sensazione tattile di un vino asciutto e beverino.

Weingut Schloss Gobelsburg - Brut Reserve

Permaniamo a latitudini fredde e austere: siamo in Austria, nel Kamptal, zona particolarmente vocata il cui clima che prevede importanti escursioni termiche regala uve dall’alta acidità. Patria del Grüner Veltliner, mitico incrocio fra Traminer e una vite dall’oscuro DNA ritrovata in unico esemplare a St Georgen am Leithagebirge, nella regione austriaca del Burgenland.

Ad integrare il Grüner Veltliner nell’assemblaggio di questo Sekt vengono usati Riesling e Pinot nero.

Ricerca di complessità e rotondità a smorzare la natura scontrosa delle uve di base attraverso la vinificazione dei vins claires, messi a dimora per sei mesi in botti di rovere austriaco da 25 hl. Dopo la presa di spuma permanenza di 30 mesi sui lieviti.

Il risultato è un vino dagli aromi fragranti, con una netta dominanza balsamica di speziatura pungente, pepe bianco, tabacco biondo. Il perlage fine ma tagliente, dritto in bocca, concede poco alla rotondità. Netta la dominanza acida, in retronasale trionfa la mineralità. Ottima persistenza aromatica.

Gramona - III Lustros Gran Reserva 2011

Spesso la storia di una tenuta vinicola è quella di una saga familiare: Spagna, Penedès, 1881. Pau Battle, discendente di una famiglia di coltivatori di San Sadurnì d’Anoia, inizia a vinificare le proprie uve, in seguito alla crescente domanda dovuta al crollo della Francia vitivinicola, flagellata dalla fillossera.

Vilafranca del Penedès, 1910: il giovane Bartomeu Gramona partecipa al corso sperimentale di Viticoltura ed Enologia, innamorandosi della materia.

Nelle vicinanze, 1913: il giovane Bartomeu è un sentimentale. Completa il quadro innamorandosi, e sposando, Pilar, l’unica figlia della famiglia Battle.

Se abbia giocato solo il sentimento o anche un po’ di sano calcolo non è dato saperlo, fatto sta che da lì nasce quella che è una delle grandi dinastie del vino spagnolo, Gramona, che, ad oggi produce diversi tipologie di Cava, sia da uve autoctone che internazionali, fra cui il III Lustros, Brut Nature uscito per la prima volta sul mercato nel 1971. Prodotto da uve Xarel·lo (75%) e Macabeu (25%) che prosperano su terreni calcareo argillosi, riposa sur lies per ben 84 mesi, con la particolarità del tappo in sughero a sigillo della bottiglia, per favorire lo scambio d’ossigenazione con l’ambiente esterno.

Nel bicchiere colpisce il colore giallo paglierino brillante, piuttosto insolito in un vino con affinamento così importante: primo sintomo dell’alta acidità delle uve di provenienza, che sarà chiaramente percettibile in bocca.

Aromi caldi di frutta secca e speziatura dolce, in retronasale si evidenzia la mandorla amara e la scia minerale gessosa. Buon corpo, volume di bocca gratificato dalla spuma morbida e calibrata nel diametro delle bollicine. Ottima persistenza.

Nyetimber - Blanc De Blancs 2010

2099, Sud dell’Inghilterra,West Chiltington, Sussex, New Champagne: potrebbe essere il titolo di un film fantasy da botteghino, ma nemmeno tanto, dati gli attuali, disastrosi, pronostici sulla futura catastrofe climatica che potrebbe investire la zona del più famoso vino metodo Champenois.

Ad oggi, 2019, sappiamo solo che le zone del Sussex, Kent, Surrey, per clima e composizione dei suoli gessosi sono zone adatte alla viticoltura, in cui ben il 68% dei vini prodotti appartiene alla categoria degli Sparkling wines.

In realtà, nonostante l’ingente produzione, è storia abbastanza recente quella della vinificazione di un metodo classico in patria: è Carr Taylor Wines a immettere la prima bottiglia sul mercato nel 1984.

Nyetimber, che produce 5 etichette diverse di Spumanti metodo classico, persegue chiaro l’intento di rifare il verso ai grandi vini champagnotti: lo Chardonnay usato per questo Blanc de Blancs, dopo la pigiatura con l’ipertecnologica pressa  Coquard, che permette l’esatta regolazione della pressione di schiacciamento, affina in acciaio.

Dopo la presa di spuma segue un’importante sosta sur lies di 60 mesi.

Unica concessione al palato anglofono è il dosaggio abbastanza generoso di 10 gr/l.

Colore vivo e brillante che non denuncia il lungo affinamento, gli aromi allungano il passo fino al sentore, timido, di panbrioche: la dominante aromatica resta però minerale e fresca, fatica a sviluppare appieno i terziari. Di soddisfazione in bocca, dove ottiene la palma della persistenza aromatica fra tutti i vini della degustazione.

Il terzo tempo, le conclusioni

Va fatto un inciso che riguarda gli Spumanti della serata: provengono, ad eccezione del sudafricano, tutti da uve molto acide perché coltivate in zone particolarmente fredde, circostanza che va a mortificare lo sviluppo di spiccati aromi terziari, anche in presenza di importanti affinamenti prolungati nel tempo.

Ed è probabilmente proprio in questo che ci appare con maggior evidenza il passo, ancora lungo da compiere, che separa questi buoni Sparkling Wines dai più famosi Champagne.

Resta però valido anche il concetto che ogni vino è un mondo a sé stante, prodotto in un territorio e da mano unici e irripetibili, ed è in quest’ottica che va letta la degustazione di stasera.

La domanda non è se fra venti o cent’anni lo Champagne, o chi per lui, si farà in Sussex o in Sudafrica, e quale sarà migliore.

Siamo uomini, fallibili, e soprattutto, mortali: fra cent’anni nessuno di noi sarà più ad occupare, curioso, i banchi durante le degustazione FISAR. Non lo sapremo mai dove si farà lo Champagne nel 2099.

Però oggi abbiamo avuto una visione diversa, conosciuto altri Spumanti metodo classico, prodotti da angolazioni differenti rispetto a quelle che ci sono consuete: buoni, interessanti, peculiari, diversi.

E scoprire la diversità in tutte le sue sfaccettature è una delle forme di arricchimento della conoscenza migliori a cui possiamo accedere.

Di questo dobbiamo certo ringraziare Martin, che ha organizzato la degustazione di stasera, e i preziosi sommelier che, al solito, hanno dato vita ad un servizio organizzato e impeccabile.

Per leggere gli altri due articoli dedicati alla trilogia sui lieviti: ecco il primo e il secondo capitolo.

Valentina Pizzino
Valentina Pizzino

Nata a Firenze da una famiglia di astemi, non ha mai dubitato che nelle sue vene scorresse Chianti Classico. Lavora fra i libri, ma gli scaffali che preferisce sono quelli delle enoteche. Il suo centro di gravità permanente è sempre ruotato attorno a una bottiglia.

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